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Caratteristici giochi d’azzardo



Alberto Pasolini Zanelli
Agosto è il mese più caldo non soltanto nelle statistiche meteorologiche. Lo è anche nella storia recente della Russia sia all’interno, sia nei rapporti con le altre nazioni vicine e lontane. Il 19 agosto 1991 i comunisti tentarono un golpe per impedire a Gorbaciov di portare avanti le sue riforme. Il tentativo fallì e provocò anzi il crollo del comunismo e la scomparsa dell’Urss. Il 31 agosto 1999 i terroristi lanciarono il loro maggiore attacco finora, lanciando bombe ad edifici di Mosca. Il primo agosto 2008 cominciò la guerra in Georgia. Il 10 agosto di quest’anno è suonato un altro allarme, questa volta in Ucraina e in Crimea (che era stata inglobata in Russia nell’agosto del 2014). Il via alla nuova crisi l’ha dato il Cremlino, denunciando “atti di sabotaggio e di terrorismo” da parte di milizie ucraine in Crimea, a cominciare da un sabotaggio alla rete elettrica. Mosca da allora protesta e minaccia rappresaglie, che per il momento non vengono prese molto sul serio né dal governo ucraino né dai Paesi occidentali.
Ci sono altri motivi di inquietudine. Il “cessate il fuoco” stipulato due anni fa sulla base degli accordi di Minsk ha subito di recente visibili erosioni. Putin ha accusato il governo di Minsk di “pianificare attacchi terroristici in Crimea” e ha lasciato intendere che vuole proseguire le misure di riarmo inaugurate nel maggio scorso anche mediante lo spostamento di reparti militari verso i confini dell’Ucraina. Mosse che hanno mobilitato i “falchi” di Washington, che collegano le iniziative del Cremlino in questo settore con l’intervento militare diretto russo in Siria, consolidato di recente dai compromessi raggiunti con la Turchia e dall’apertura di basi aeree in Iran. C’è chi chiede una reazione pronta ed aggressiva.
Ma non tutti a Washington sono di questo parere. L’opinione prevalente è anzi che il gioco di Putin sia più politico che militare, una manovra per aumentare le tensioni al fine di indurre la controparte a mostrare più disponibilità per una revisione graduale degli accordi, in base a un atteggiamento piuttosto abituale in Putin di minacciare indirettamente il peggio per ottenere concessioni misurate. Gli esperti americani non escludono che una parte delle violazioni denunciate dal Cremlino sia reale per quanto riguarda le aree di frontiera fra l’Ucraina e la Crimea.
Il gioco è complesso anche perché gli interventi russi in queste due aree si basano su posizioni ben diverse di forza e di diritto. Gli interventi militari nell’Ucraina orientale, giustificati con la presenza in quelle zone di una popolazione russa, sono comunque una violazione di una sovranità nazionale. Più forte è semmai l’argomento che il governo di Kiev regolarmente eletto fu rovesciato da moti di piazza perché, chiamato a scegliere fra una adesione all’Europa e il mantenimento dei legami con la Russia, si era pronunciato per quest’ultimo. La Crimea è invece una terra russa da secoli, quasi senza legami storici o etnici con l’Ucraina. Essa fu strappata alla Russia e regalata a Kiev dal leader sovietico Nikita Krusciov, egli stesso ucraino, senza consultare gli abitanti, che si mossero, almeno formalmente, in conseguenza della crisi fra Mosca e Kiev, organizzarono un referendum e votarono per ricongiungersi alla Russia.
Fu l’insieme di queste iniziative che fornì all’Occidente l’occasione per reagire con le sanzioni economiche a Mosca, che hanno certamente aggravato la situazione in Russia e che costituiscono il punto di frizione più forte e autentico nell’ambito della nuova crisi Est-Ovest (come preferiscono pensarla i nostalgici della Guerra Fredda). Molte iniziative successive del Cremlino possono essere interpretate come tentativi di smontare la macchina delle sanzioni, sia offrendo concessioni – alquanto magre – in altri campi, sia ricorrendo invece a pressioni in una vasta scacchiera che va appunto dall’Ucraina al Medio Oriente, con un fulcro in Siria.
A tenere vive le tensioni c’è poi una doppia coincidenza elettorale. I russi andranno alle urne in settembre per eleggere il Parlamento (il partito di Putin dovrebbe perdere qualche voto ma conservare la maggioranza assoluta) e gli americani sceglieranno in novembre il loro nuovo presidente. Le predilezioni del governo russo sono chiare. Putin è convinto che se a un Obama succederà Hillary Clinton, i rapporti fra le due ex Superpotenze saranno destinati a peggiorare, essendo la Clinton una “interventista”. Il suo rivale Donald Trump è un’incognita per tutti, ma i suoi rapporti con Putin, almeno a distanza perché i due non si sono mai incontrati, sono senz’altro migliori e fin troppo calorosi, il che non giova al candidato repubblicano e per questo leader del partito tradizionalmente più militante. Trump è però soprattutto un’incognita e se Putin punta veramente su di lui, è impegnato una volta di più in uno dei suoi caratteristici giochi d’azzardo.