ROMA – Easy Jet, volo per
Londra. E’ luglio, l’aeromobile è pieno di passeggeri. Parte da Roma, decolla
dall’Italia ed è quindi pieno di italiani.
Tra di loro, tra gli italiani, anche
alcuni purtroppo immancabili “italians”. Cioè quei tipi umani tipicamente
italiani evolutisi ed adattatasi nel particolarissimo habitat dell’Italia
contemporanea.
Habitat dove la fauna sopravvenuta e sopravveniente è indocile e
insofferente a qualsiasi regola che non sia il comodo proprio. Fauna che fa del
bullismo sociale la propria cifra identitaria.
Dunque
si sta per decollare, anzi si decolla e un “italian” sta ovviamente dialogando
con il suo smartphone con chi gli pare, dove e come e quando gli pare.
In più
sta armeggiando con il bagaglio con l’altra mano. In una mano lo
smartphone, con l’altra litiga e si fa spazio nei cassetti sopra i sedili.
Insomma dà fastidio a chi ha la sfortuna di stargli a fianco, crea potenziale
pericolo spostando bagagli mentre si decolla, non spegne lo smartphone.
Si
avvicina ovviamente una hostess e lo prega di sedersi e di smetterla con
entrambe le operazioni, quella con il bagaglio e quella con lo smartphone.
Non
riceve risposta verbale, l’ "italian" sta parlando con un suo simile a terra. In
compenso la hostess riceve come risposta un energico gesto del braccio dello
"italian" che la allontana, la sposta, la scosta con imperioso fastidio.
La
hostess, che non è italiana, non fa una piega. Non si
innervosisce, non alza la voce, non fa sponda alla sceneggiata “macha”
dello "italian".
Si capirà poi che ha riferito dell’accaduto al
capitano. Il quale, che italian non è e neanche italiano, si capirà poi che ha
fatto comunicazione dell’accaduto all’aeroporto di destinazione.
Si atterra
Londra, tutti si preparano a sbarcare. lo "italian" compreso, con il suo bagaglio
che ha messo dove voleva e come voleva e con il suo smartphone che ha spento
solo se e quando voleva lui.
Stanno
tutti per scendere ma un paio di tipi sono invece saliti, sono in divisa, vanno dallo
"italian" e gli comunicano che lui scenderà per ultimo e come prima destinazione
in terra britannica avrà l’ufficio di un funzionario di polizia dove renderà
conto del suo bullismo a bordo.
Ovviamente, come è nella natura profonda e
reale degli italians, il nostro bullo volante a questo punto sbianca in volto.
Per una rarissima volta nella sua vita (in Italia non gli capita mai) è obbligato a prendersi la responsabilità dei suoi gesti e azioni. Non
può gridare che “ben altri sono i problemi” (lo "italian" tipo tra l’altro sa
poco l’inglese) e neanche che “la colpa è dei politici" e "che lo Stato lo ha
lasciato solo”.
Un po’
piagnucola che non capisce, non ha fatto nulla, molto ritratta, chiede scusa,
implora perdono.
Una pena, fa pena a guardarlo. Ma la platea non è italica
(quella tipica che passa dal "galera per tutti" al "ma che, davvero?"). La scena è
britannica e Dio salvi la Regina e Viva, Viva, Viva la Gran Bretagna la
polizia a Londra dà la giusta lezione al cafone arrogante prepotente "italian".
La lezione che non ha avuto in famiglia, nè a scuola, né sul luogo di lavoro,
che non vede in tv, che nessuno impartisce nell’urna elettorale, né votando né
essendo votato.
La lezione del rispetto delle regole e del prossimo. La lezione
della convivenza. Non lo arrestano, lo ammoniscono e lo multano.
Lo "italian" esce
spaventato e scosso dalla lezione ma, state sicuri, la racconterà come un
sopruso e tornerà appena in patria ad esercitare il suo “diritto” ad essere
incivile, orgogliosamente incivile.
Lui lo chiama libertà di farsi
i c…suoi.
Anonymous