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I giovani, il nodo della crisi


Guido Colomba

Trump ha vinto, tra la sorpresa generale, intercettando il disagio sociale dei giovani. Eppure la crescita prolungata dell'economia americana non lascia dubbi. Ecco perchè è del tutto sbagliato pensare di risolvere i problemi italiani senza affrontare il nodo ben più grave della disoccupazione giovanile (dai 18 ai 40 anni) compresa la fascia di chi non cerca nemmeno il lavoro. Sono i giovani che hanno determinato in buona parte (73%) l'esito del referendum sulla riforma costituzionale. Di fatto, il Jobs Act ha creato lavoro per gli ultra quarantenni. Mancano segnali incoraggianti: solo il 3% delle imprese consultate (agenzia Manpower) prevede di aumentare l'organico nel primo trimestre 2017. Chi pensa di risolvere il problema contrastando la diffusione dei voucher è fuori strada. Purtroppo, Il tema è assente nel dibattito politico sia dei partiti di opposizione che del Pd. Nè basta l'accenno al "disagio sociale" del premier Gentiloni per colmare questo vuoto. Ed appaiono fuori contesto le preoccupazioni legate al referendum proposto contro il Jobs Act dal sindacato CGIL. Esse vanno di pari passo con chi invoca elezioni al più presto possibile. I giovani non possono perdere un altro anno stando sugli spalti a guardare ciò che non arriva mai come nel "deserto dei tartari". Occorrono scelte immediate con un massiccio programma di spesa. Viene in mente un "new deal" rooseveltiano dando priorità assoluta a questo obiettivo. Si parla a vuoto di riforme strutturali. Le parole vanno riempite di fatti. Dunque, va modificata o integrata la legge di bilancio appena approvata. Gentiloni farebbe bene a preannunciare questa mossa al vertice europeo. Un secondo tema riguarda la politica industriale. Illuminante il libro di Klaus Schwab, fondatore e presidente del World Economic Forum (si tiene a Davos ogni anno) in tema di "industria 4.0". Schwab indica due fattori rivoluzionari: il primo è la stampa in 3D che per i consumatori crea un panorama completamente nuovo. Il secondo è legato ai robot produttivi che spingerà le imprese, che hanno delocalizzato in Paesi a basso costo di mano d'opera, a rimpatriare riportando le produzioni nelle industrie locali. Anche questo è un punto a favore di Trump, il primo ad aver capito che per la globalizzazione si sta aprendo un nuovo capitolo destinato ad incidere profondamente sullo scenario geopolitico.  Ed è comprensibile che la Cina, con un saldo netto di oltre 450 miliardi di euro solo con l'Occidente, cominci a preoccuparsi. Per l'Italia questo ritorno al manifatturiero, non solo high tech, può dare un forte contributo alle speranze delle giovani generazioni. Ciò significa insistere in una nuova metodologia che riconsideri, con il mondo produttivo, il sistema di istruzione per preparare le professionalità di domani. Un messaggio per il ruolo della scuola. Un raggio di speranza da afferrare al volo senza indugio.