Guido Colomba
L'effetto del "piano
Trump" potrebbe essere significativo. In termini keynesiani la politica
fiscale (flat tax al 15%) implica un moltiplicatore elevato perché determina
un rilancio degli investimenti produttivi. Proprio quello che è mancato in
questi ultimi otto anni nonostante la ripresa globale, ma lenta,
dell'economia americana. Va da sè che un aumento della produzione si trascina
appresso anche la produttività. La politica espansiva della Fed è stata molto
utile nella fase iniziale. Il rovescio della medaglia è costituito dalla
lievitazione del debito della banca centrale Usa abbastanza decorrelato con i
consumi. Sta di fatto che i timori espressi prima delle elezioni di novembre
sono stati smentiti. Innanzitutto, Wall Street ha inanellato una serie di
nuovi record che hanno portato il Dow Jones a sfiorare la fatidica quota 20mila.
Un risultato accompagnato da una serie di dati positivi relativi all'economia
reale. Nel terzo trimestre dell'anno vi è stato un incremento tendenziale del
Pil pari al 3,5%. Gli scettici parlano di una "luna di miele" che
sta per concludersi e ricordano che questi risultati appartengono
all'amministrazione del presidente uscente Obama. Inoltre, le variabili sono
molteplici visto che il mondo é un luogo pericoloso come dimostrano gli
ultimi avvenimenti, dalla Siria agli atti terroristici di Berlino. Tuttavia,
secondo l'economista Kenneth Rogoff (Harvard University, capo economista del
FMI dal 2001 al 2003), la crescita della produzione potrebbe sfiorare il 4%
rispetto al 3% stimato. Il motivo è ricondotto al clima di fiducia che si è
instaurato presso le imprese "forse al punto da indurle a ricominciare a
investire sul serio". L'altra motivazione riguarda l'espansione della
spesa nel settore delle infrastrutture produttive approfittando dei tassi di
interesse ancora molto bassi. Rogoff sottolinea che con queste premesse
"i progetti ad alto rendimento si ripagano da soli". Una terza
riflessione è legata alla revisione delle politiche commerciali, specie verso
la Cina che
vanta un surplus commerciale gigantesco verso gli Usa. Trump ha affidato a
Peter Navarro (University of California), molto critico verso Pechino, la
guida del National Trade Council. Secondo Navarro, Stati Uniti e Paesi
occidentali dovrebbero "ridurre drasticamente le importazioni per
privarla di risorse e arrestare così la sue deriva militaristica". Lo
staff di Trump accusa la Cina
di manipolare la valuta a fini commerciali con la conclusione di far scattare
automatiche sanzioni del 35% sui suoi prodotti. Anche l'Europa è già
coinvolta in questo confronto tanto che ha finora respinto la richiesta
cinese di farsi riconoscere la qualifica di "economia di mercato".
Vi è infine il fronte valutario. Il cambio euro-dollaro è precipitato a 1,04
favorendo così le esportazioni europee verso gli Stati Uniti. Ma l'economista
Krugman non esita a definire l'eurozona "un semplice regime a cambi
fissi analogo al gold standard per funzionamento e scopi". Appena il 5
dicembre scorso vi è stato un duro scontro tra la
Bce e l'Olanda per il tentativo di bypassare i paletti Bce
sulla sovranità monetaria attraverso l'oro. La normativa attuale prevede che
le monete d'oro possono essere coniate dai Paesi membri ma non hanno valore
legale e non possono essere vendute al di fuori dei confini nazionali. Un
segnale di "suggestioni complottistiche" da non sottovalutare.
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