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Tra depressione e catastrofe


Alberto Pasolini Zanelli

Gli americani in questi giorni si dividono fra quelli che soffrono di una depressione e quelli che hanno paura di una catastrofe. L’una e l’altra sono di misura senza precedenti nel Paese più ricco e potente della Terra. Che ha una esperienza piuttosto intensa di questo tipo di colpi del destino, ma non ne ha finora potuto o saputo estrarre una medicina e anche meno una “dottrina”. Di ricette ce ne sarebbero parecchie, con novità pressappoco quotidiane, ma esaminate ed elaborate secondo basi e ipotesi molto diverse. Non è l’unica nazione ansimante da una supermalattia pandematica, ma lo è in massima misura: sono deceduti finora più americani che non la somma delle vittime di tutte le nazioni del mondo. Una delle conseguenze è la divisione delle ipotesi e quella delle “medicine”, le poche che finora esistono.

Gli “scienziati” sono i più “liberi”, ma non hanno più tempo degli altri. Meno di tutti, tuttavia, degli uomini politici, che hanno addosso malumori e reazioni dirette e immediate. Il meno comodo di tutti è naturalmente Trump, lapidato a ogni errore, quelli in buona fede e quelli messi in tavola per motivi elettorali. Pare che abbia tempo, visto che si vota a novembre, ma le richieste sono tutte “immediate” e non potrebbe essere diversamente: il totale provvisorio di questa settimana è un minimo di 500 bilioni, 100 per spese ospedaliere e nuovi esperimenti, 400 di “elemosine” per le piccole aziende, la maggior parte delle quali hanno le casseforti totalmente vuote. Senza tenere conto delle angosciate richieste di ospedali e cliniche. Tutte domande indiscutibili, ma non pagabili immediatamente.

Ogni richiesta ne attira subito un’altra e, soprattutto quando i “chiamati” sono i candidati. Solo da un paio di giorni sono definiti i due principali, alla presidenza: Donald Trump da confermare, Joe Biden per scavalcarlo “grazie” al malumore di tanti. Le ultime cifre sulla lavagna indicano in questo momento lo sfidante: 48 per cento per Biden e 45 per cento per Trump. Le motivazioni sono un po’ più nitide: il 54 per cento degli elettori rimprovera a Trump una “lentezza” nell’affrontare la crisi e il 52 per cento incita il governo a “fare di più”. Ma alla parete c’è un’altra lavagna che si fa leggere praticamente al contrario, soprattutto per quanto riguarda Trump, che è considerato “più onesto e degno di fiducia” da 35 americani su cento, 44 più competente e appena 36 su cento (poco più di uno su tre) “calmo e stabile”. Il suo sfidante è preferito in questo soltanto dal 37 per cento. Il suo massimo punto di forza è da qualche giorno la sua esperienza di otto anni come vicepresidente di un uomo straordinariamente popolare come Barack Obama, cui non è più permesso gareggiare, essendo stato eletto due volte, e che non ha allevato un erede quanto a simpatie. Una designazione che nasce anche, se non soprattutto, dalla “timidezza”, soprattutto per un “vigoroso urlatore” come Trump. Nell’ultima settimana, poi, su Biden è stata lanciata l’accusa che da lontano sembra la meno probabile: un attacco di pratica sessuale alle sue collaboratrici ancor prima di mettere piede alla Casa Bianca. L’accusa non offre attenuanti, la difesa appare a qualcuno troppo “distaccata”: si riduce alla negazione totale, “non è successo”. Toni da candore, non tanto a paragone di Trump, ma di diversi suoi predecessori, compreso un presidente Bush. Che però condusse una “difesa” abile soprattutto da parte di uno statista giovane. A Trump si rimprovera invece, fra l’altro, i suoi toni prevalenti e disinvolti nei confronti delle donne in genere. Un linguaggio che può essere molto fuori luogo in questo periodo in cui l’onda femminista è particolarmente solida e aggressiva. Lo sa bene anche Biden, che per prima cosa dopo la nomina a candidato alla Casa Bianca ha scoraggiato le attiviste da Casa Bianca, anche perché la campagna elettorale di Biden ha dovuto soffrire dei mesi dall’aggressiva concorrenza di diverse donne di ogni età e umori. Incoraggiati dal malumore generico dell’elettorato, calcolabile nei quaderni delle finanze, di Stato e soprattutto private.