Alberto Pasolini Zanelli
Hanno votato. Stanno votando. Voteranno. L’appuntamento elettorale in America è sempre molto
complesso e arduo per un orecchio europeo. Tutte le altre democrazie del mondo hanno l’abitudine,
in parte ispirata dai Padri Fondatori d’America, prima di fare le campagne elettorali, poi di votare,
poi di contare i voti. Qui non è così. Qui ieri sono cominciati ad affluire risultati da diversi Stati,
anche se la data ufficiale per le elezioni è fissata al primo martedì di novembre, che quest’anno cade
il 3, ma all’appuntamento è atteso pressappoco un terzo delle unità statali americane. Ieri (ma anche
oggi e domani) c’è chi va alle urne, c’è chi ci è già andato, c’è chi apprende e comunica
contemporaneamente le intenzioni di voto e i risultati del voto. E ben pochi obiettano, anche se è
ovvio che un certo tipo di dati influisce sempre su quelli a venire. Quest’anno la conta delle scelte
politiche è particolarmente complessa e passionale, i dati di partenza con poche precedenze. Di
solito un presidente che è stato in carica quattro anni si presenta a chiedere il raddoppio del suo
mandato e conduce quindi una campagna elettorale rassicurante nei toni, fiduciosa e ottimista.
Quest’anno non solo da quando le urne si sono aperte, ma da quando è “fiorita” la campagna
elettorale, l’inquilino attuale della Casa Bianca, Donald Trump, è dato per perdente da quasi tutte le
fonti dell’opinione pubblica, martellata dallo scambio non solo di proposte ma soprattutto di
denunce. L’ultima, resa nota mentre alcuni milioni di elettori erano ancora accodati alle urne, è la
denuncia alla Corte Suprema delle evasioni fiscali compiute dal presidente anche se non è
comprovato che fossero illegali. E quasi contemporaneamente si sparge per l’America (ma anche
per Paesi europei, a cominciare dalla Russia) l’inchiesta sulle iniziative finanziarie da parte del
figlio di Joe Biden, candidato dell’opposizione democratica e favorito nelle più recenti previsioni.
Nei comizi di ieri sera e odierni i due esponenti si sono scambiati epiteti rari nel passato. Biden ha
definito Trump “minaccia e rovina per il Paese”, Trump ha bollato Biden come “comunista” e
“mostro”. Il linguaggio di entrambi si fa ogni giorno più violento a mano a mano che si avvicina la
“fase ufficiale” del procedimento elettorale, anche se forse metà degli americani in questo momento
ha già votato, dimagrendo la posta tuttora in gioco e spesso conformando la propria scelta alla
pubblicazione dei dati precedenti. L’affluenza è stata fino a questo momento alta, in conseguenza
della tensione che si è diffusa quasi due anni fa e delle “mobilitazioni” più recenti e sempre più
radicali. Biden, che fino a poco tempo fa era considerato un moderato, ha incitato ieri gli elettori di
pelle nera a mobilitarsi ulteriormente, a conclusione di una fase politica con scarsi precedenti in
questo senso.
Ma su tutto incombe la tragedia del Coronavirus, che moltiplica soprattutto in questi giorni il
numero degli infettati e quello anche dei morti. La polemica riguarda le misure di sicurezza, ma
ultimamente anche le diagnosi e le misure di prevenzione. Su questo si era accesa una polemica fin
dai primi giorni della crisi fra il presidente Trump e il capo della gerarchia medica, dominata dal
“superscienziato” Anthony Fauci, che da tempo è diventato la voce più mordace dell’opposizione a
Trump e delle misure da lui raccomandate. Ieri il presidente ha risposto con pari asprezza. Ha
definito lo scienziato “una catastrofe”. Poi sono andati entrambi pre-votare.
Pasolini.zanelli@gmail.com
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