Siamo tornati indietro di trent’anni: al premier la responsabilità di far ripartire l’Italia
Controlli accentrati: la funzione del premier nella corsa ai fondi UE
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 4 ottobre 2020
Da molti mesi è il Covid-19 il potente protagonista degli eventi globali. Questo non solo per gli enormi danni provocati alla salute e all’economia, ma anche per il condizionamento che la pandemia ha esercitato nei confronti delle politiche dei governi chiamati a gestirne le conseguenze.
Naturale quindi dovere constatare che nel primo trimestre dell’anno il crollo maggiore dell’economia sia stato in Cina, dove tutto è iniziato. Altrettanto doveroso è tuttavia riflettere sul fatto che lo stesso paese, in conseguenza della severità delle misure adottate, è oggi l’unico a camminare con un tasso di sviluppo positivo. Ed è ugualmente necessario constatare che Francia, Spagna e Italia, nazioni ferite in modo particolarmente violento dalla rapida e generale diffusione del virus, abbiano subito una caduta dell’economia più forte della Germania, colpita finora in modo più limitato. E nemmeno deve stupire che la Gran Bretagna, con la sua sciagurata politica, si collochi al livello più basso di tutti i paesi europei.
Per questo motivo i nuovi segnali di diffusione del Covid-19, che si stanno ovunque manifestando in modo così preoccupante, debbono essere accompagnati dai comportamenti necessari perché non si debba ripetere la chiusura di ogni attività. Fa perciò una certa impressione osservare che in Italia vi siano ancora resistenze nell’applicare le misure preventive (come le mascherine, le distanze e l’uso di Immuni). Misure anche fastidiose per i singoli, ma essenziali per evitare il ripetersi della precedente catastrofe sanitaria ed economica.
Non basta tuttavia evitare gli errori del passato: è urgente costruire il futuro perché, in conseguenza della mancata crescita degli ultimi anni e della precipitosa caduta del presente, l’economia italiana è ritornata al livello degli anni novanta: siamo tornati indietro di trent’anni.
In questa situazione, i pur cospicui fondi europei, se non saranno impiegati per aumentare l’efficienza del nostro sistema economico, ci offriranno soltanto un sollievo temporaneo.
Non basta, a questo proposito, presentare progetti compatibili con i grandi e prioritari settori elencati dal Recovery Fund, come l’ambiente, la transizione digitale o la salute. Bisogna infatti stabilirne le priorità tenendo conto, come impone la Commissione, non solo della sostenibilità e dell’equità, ma anche delle conseguenze sulla produttività.
Per questo motivo il metodo seguito fino ad ora dal nostro governo mi preoccupa.
Si è infatti scelto di lasciare inondare (senza nemmeno la veneziana protezione del Mose) il valente (ma senza portafoglio) ministro degli Affari Europei di una quantità di proposte che già da ora superano di tre volte le risorse che saranno disponibili. È un bel problema perché queste proposte non solo sono tutte legittime, ma provengono da persone dotate di potere e di responsabilità politica. Proprio in questi casi, il più delle volte, si finisce con l’essere costretti a dividere le risorse disponibili fra tutti i proponenti, con buona pace per le conseguenze sull’equità, sulla sostenibilità, sullo sviluppo e sulla produttività.
Ultimamente il Presidente del Consiglio ha dichiarato di volere creare un’agenzia dedicata a controllare la realizzazione dei progetti del Recovery Fund. Tuttavia, come ha giustamente scritto Giorgio La Malfa sulle colonne del Mattino, quest’agenzia non è chiamata ad affrontare il problema di come saranno selezionati i progetti e di come saranno divise le risorse fra i diversi settori. Ed è giusto che sia così perché queste scelte sono compito della politica e non di un’agenzia.
Nei giorni scorsi ha avuto una larga eco la richiesta, avanzata da una vasta e significativa rappresentanza del mondo scientifico, di raddoppiare le miserevoli risorse ora disponibili nel campo della ricerca teorica ed applicata. Richiesta accompagnata dalla provata argomentazione che, senza questa decisione, il nostro mondo scientifico e quello produttivo rimarranno irrimediabilmente distaccati non solo da Stati Uniti e Cina, ma anche dagli altri paesi europei. In questo, come in altri numerosi settori, vi deve pur essere qualcuno in grado di decidere se, per il nostro paese, sia necessario e prioritario rivoluzionare l’allocazione delle risorse in modo da preparare davvero un futuro per la prossima generazione.
Ritengo che un compito di tale portata debba essere direttamente assunto dal Presidente del Consiglio, coadiuvato dai due ministri che hanno l’incarico specifico di guidare l’economia. Dovrà essere loro la responsabilità di consultare tutti gli altri ministri, esaminare le richieste delle regioni e dei comuni e ascoltare le proposte dei corpi intermedi. Un compito che dovrà ovviamente essere messo in atto con l’aiuto di un gruppo di esperti specializzati nelle tecniche necessarie per rendere possibile la scelta delle priorità e valutare il contributo delle diverse opzioni nei confronti del nostro sviluppo.
La Commissione Europea ha infatti inviato a tutti i paesi membri oltre cinquanta pagine di precise e dettagliate norme su come debbano essere presentati i progetti. In queste pagine è scritto che essi debbono rispondere a una strategia coerente, debbono essere compatibili fra di loro e debbono analiticamente illustrare le loro conseguenze economiche e sociali. Affinché questi compiti possano essere eseguiti nel migliore dei modi, la Commissione Europea chiede infine di avere di fronte un unico interlocutore per ogni paese.
Non vedo chi possa essere quest’interlocutore se non la massima autorità di governo.
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