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Le storie di Oscar # 6: Il Pane e il Corned Beef

La nonna Emma era una vedova bianca. Il marito Leo dopo i trionfi col suo Nazareno sui palcoscenici toscani e la bancarotta finanziaria perche' l'amministratore era sparito con gli incassi, aveva di nuovo abbracciato la carriera militare.

Capitano di cavalleria era andato in Eritrea nel 1935 col programma di colonizzazione di Mussolini e diceva di avere acquistato una 'fattoria' dove si sarebbe trasferita tiutta la famiglia. Poi nel 39 era scoppiata la guerra. 

La nonna Emma si dedicava ormai a tempo pieno a quel nipote, il Lalli, che sembrava darle più soddisfazioni dei suoi tre figli.

Un pomeriggio alla settimana la nonna Emma andava a pregare nella sala mortuaria dell'Ospedale della Santissima Annunziata, dove erano accatastati i morti anonimi della miseria fiorentina. A chi le chiedeva perché lo facesse rispondeva: "Bisognerà pure che qualcuno si ricordi di loro, poveretti…".

Fino a che la guerra non era degenerata con i bombardamenti a tappeto degli alleati, la vita a Firenze era riuscita a mantenere, sia pure in mezzo a tante difficoltà, la propria cadenza quotidiana.

La nonna Emma ogni tanto si concedeva, come diceva lei, "uno strappo alla regola".

Tenendo per mano quel nipote di pochi anni percorreva Borgo Pinti, attraversava via dell'Oriolo, e si immergeva nella volta di San Piero, meglio conosciuta come l'arco di San Pierino.

 

In quelle poche decine di metri di quel passaggio coperto era possibile entrare nel ventre della vita reale fiorentina.

 

Sotto l'arco di San Piero ci trovavi sulla destra la friggitoria dove vendevano i sommomoli di riso, le polpettine di patate, gli gnocchi meravigliosi di farina gialla fritti nello strutto e i roventini fatti col sanguinaccio del maiale e serviti in un semel (panino tagliato a metà).

Dall'altro lato c'era il  pizzicagnolo con la sua famosa mortadella, lo stoccafisso, i formaggi, nonché la pasta fresca spianata dalla moglie col mattarello in vista a tutti.

Nella bottega del buzzurro preparavano la pattona, la polenta di farina di castagne, oltre al castagnaccio ovviamente, alle ballotte (le castagne bollite) e le bruciate (quelle arrostite)..

La nonna Emma si concedeva un bicchierino di Alchermes alla fiaschetteria dove soggiornavano perennemente gli ubriachi cronici della zona abbracciati a quelle mezzine di vino sfuso che si diceva fosse genuino e buono. E se ogni tanto qualcuno provava a tirare fuori il coltello c'erano subito i giovanotti della mescita che gli saltavano addosso, "perché qui non si fa casino!".

Poi erano arrivate le bombe sganciate dagli aerei americani che avrebbero dovuto colpire il nodo ferroviario, invece, guarda caso, stavano disintegrando interi quartieri dell'antica città.

Firenze si era trovata attanagliata nella cosiddetta "emergenza", con le truppe alleate che non si decidevano ad attraversare il fiume Arno vuoi perché i tedeschi avevano fatto saltare tutti i ponti meno che il Ponte Vecchio non transitabile dai mezzi pesanti, vuoi perché le unità germaniche che ancora resistevano di qua d'Arno tenevano sotto un fuoco preciso gli alleati.

La popolazione fiorentina stava morendo di fame che tutto sommato è un modo di morire più duro rispetto a quello di essere spappolati dalle schegge di qualche bomba.

Non si trovava più nulla da mangiare e quello che i profittatori potevano vendere a carissimo prezzo era sempre meno disponibile perché le loro scorte stavano esaurendosi e si stava esaurendo anche la pazienza degli affamati. In qualche caso erano stati sopraffatti dalla gente esasperata.

Poi finalmente le brigate partigiane avevano aperto la strada seguite dagli inglesi che avevano allestito un ponte Bailey e davano la caccia al contingente tedesco in veloce ritirata.

Da qualche giorno Firenze era stata liberata ma era ancora impossibile trovare qualcosa da mangiare anche perché era molto pericoloso avventurarsi nelle strade centrali a causa della presenza suicida dei cecchini della Repubblica di Salò che inchiodavano sull'asfalto uomini e donne alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.

Il passa parola quella sera si fece insistente con un tambureggiamento di una sola frase: "Il pane, il pane…! domani all'Arco di San Piero, alle 10…"

Molto prima delle 10 nella piazzetta di San Piero si erano radunate diverse centinaia di persone che si passavano animatamente smozziconi di informazione spesso contrastanti gli uni con gli altri.

La nonna Emma era lì con il Lalli che non si capacitava cosa stesse succedendo.

Poi arrivarono alcuni partigiani o membri del comitato di nonsocosa, vai a sapere, che dettero la versione più accreditata di quanto stava succedendo: "Gli americani hanno riaperto tutti i forni dei panifici in città. Perciò tra poco sarà distribuito ad ogni famiglia un limitato quantitativo di pane… State tranquilli, evitate la confusione perché di pane ce ne sarà per tutti…"

Infatti il panificio in piazzetta che era stato chiuso da giorni per la mancanza di farina (così almeno dicevano i proprietari di quella bottega, ma sicuramente avevano molti sacchi nascosti in cantina) adesso era stato riaperto e si vedeva e si sentiva che stavano lavorando dentro.

Fuori dalla porta principale del panificio si erano attestati due militari americani con tanto di fucile imbracciato.

Finalmente, sarà stato mezzogiorno, quella benedetta porta del panificio si aprì e cominciarono ad uscire i lavoranti che portavano le ceste con le pagnotte che erano appena state ritirate dal forno.

E iniziò la distribuzione.

"Madonna mia, guardate gente come è bianco questo pane…!" si dicevano gli uni con gli altri sbocconcellando pezzi di quel pane fantastico che era stato appena distribuito.

Il pane era effettivamente molto bianco perché la farina che era stata distribuita al panettiere era composta in prevalenza di farina di riso.

Una particolarità delle pubbliche relazioni delle forze armate di occupazione per far presa sulla popolazione affamata e uscita da mesi di sofferenza.

Ma chi se ne fregava delle tecniche di PR che gli americani avevano introdotto nei loro manuali di gestione dei territori liberati.

L'importante era mangiare quel pane così bianco, Madonna come è bianco!

Oggi al posto di quel panificio c'è una grande pizzeria, preferito luogo di incontro di centinaia di giovani studenti americani che frequentano la Florida State University e si mischiano a tarda ora con i massoni che escono nerovestiti dalle loro riunioni tenute nel tempio anch'esso in Borgo degli Albizi.

Borgo degli Albizi sbocca nella piazzetta di San Piero.

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 Il quartiere in Borgo Pinti 31, al mezzanino, nel quale il Lalli abitava con la nonna Emma e la zia Lea dava con le sue finestre sul cortile giardino dei conti Geddes da Filicaia che avevano concesso alle famiglie degli appartamenti che vi si affacciavano di scendere a respirare un po' d'aria buona e fare quattro chiacchiere.

 La maggioranza della gente che si ritrovava su quelle aiuole era composta in prevalenza da donne giovani e vecchie; gli uomini erano al fronte oppure erano stati catturati dai tedeschi e spediti in Germania vai a sapere dove. C'erano anche dei vecchi la maggior parte dei quali stava tirando le cuoia sia per la mancanza di cibo che per le malattie, assistiti alla meglio da qualche parente imbufalita anche per quella fottuta incombenza.

Sotto il terrazzino del mezzanino si riunivano diversi bambini e bambine che giocavano.

Il Lalli passava le ore seduto con le gambe che gli penzolavano dal balconcino a rimirare quei ragazzini che si divertivano tanto.

"Ma perché non vieni anche tu giù a giocare?", gli aveva detto Emanuela che era una biondina di nove anni per la quale il Lalli stravedeva.

Così, rischiando di farsi molto male, questo ragazzo si era studiato il modo di calarsi dal terrazzo.

Quando la nonna e la zia se ne erano accorte c'era mancato poco che gli venisse un colpo.

La zia Lea era sempre in giro, povera donna, alla ricerca di qualcosa da mangiare. Ma ormai non si trovava più niente. Un giorno era tornata a casa con un fagotto di carta di giornale.

"Mamma, questo è tutto quello che il macellaio che ha chiuso è riuscito a mettermi da parte…"

"Ma di che si tratta, cos'è questa roba?" si affannò a chiedere la nonna Emma.

"È un pezzo del pisello di un bove, mamma! Non c'è altro da mangiare… Cuocilo molto bene, mi raccomando…"

Il Lalli era un ragazzino cagionevole. Il digiuno e le porcherie che la zia Lea riusciva chissà come a trovare gli avevano scatenato una forte dissenteria. Stava a letto nonostante il caldo e soffriva perché sentiva i ragazzi sotto che si divertivano con i loro giochi e lui non poteva partecipare.

Ma adesso il frastuono delle urla dei ragazzi era coperto da un gran parlottare delle decine di donne che si trovavano dentro il cortile-giardino dei conti Geddes da Filicaia.

Si sentì un forte rumore di un motore, come di uno che dava delle accelerate ad una vettura.

 

Dal cancello principale della casa dei conti Geddes da Filicaia apparve un veicolo che definire automobile sarebbe stato troppo. Una cosa strana giallo verde guidata da un militare americano. Il sedile posteriore di quel veicolo che si chiamava Jeep, era coperto da scatole e razioni militari di cibo.

Il militare era visibilmente ubriaco e una volta sceso da quel veicolo marziano si girò da una parte e vomito' gran parte del vino rosso che doveva aver tracannato in qualche sosta precedente.

Circondato da decine di donne cominciò a contrattare scambiando cibo contro qualcosa che poteva essere da lui rivenduta a qualche connazionale.

La nonna Emma chiese aiuto all'inquilina del piano terra che stava cercando di farsi capire con quel poco inglese  scolastico che ricordava.

"Dice che ti dà una scatola di carne se gli cali col panierino qualcosa di importante", disse la giovane di sotto.

La nonna Emma mise nelle panierino una preziosa tovaglia di Burano.

"Diglielo, Adriana, che questa è una cosa molto preziosa e ci può fare un sacco di soldi… Adesso mi metta dentro il cestino la scatola di carne, quella grande, mi raccomando, Adriana!"

Si trattava di una mega confezione di carne in una scatola trapezoidale. La nonna Emma si ingegnò a vedere come poteva essere aperta quella scatola metallica, vide che attaccata c'era una chiavetta e questa poteva essere inserita in una linguetta. La nonna cominciò a girare questa chiavetta e riuscì a scoperchiare la scatola che poi ripose dentro la madia prima di uscire per andare a prendere un po' di verdura dal  fruttivendolo.

Il Lalli si alzò e si avvicinò alla madia, tiro' fuori quella confezione metallica di carne dal profumo strano e cominciò a mangiarla afferrandola con la mano.

Nonostante la dissenteria acuta quella carne lo rimise in piedi.

Oggi, dopo tanti decenni, se volete fare un regalo al vecchio Lalli comprategli una scatola di corned beef. 

Niente caviale.

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Per chi vuole ascoltare e non leggere:

https://youtu.be/FxNZ9Uwojsk

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Storia molto bella e interessante, Oscar. 
Emilio Iodice
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Caro Oscar,
Tristi, accorati, ma stupendi ricordi quelli di Lalli.
Un abbraccio
Aldo N.
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Carissimo Oscar,
come sai sono una fedele ammiratrice dei tuoi prodotti d’alta classe! Oltre all’interessante contenuto ammiro e godo dello stile e dell’immaginazione…
Questa volta devo dire che dopo avermi fatto venire l’acquolina in bocca attraversando l’Arco di San Piero….mi hai distrutto raccontandomi dei Fiorentini che morivano di fame….!!!
Meno male che alla fine e’ arrivata nonna Emma con il suo Lalli e con il suo pane caldo e bianco !!!
Bacioni e buon weekend !
MLuisa

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Carissimo,
il pane bianco dei giorni seguenti al passaggio degli Americani lo ricordo benissimo così come le scatolette del Corned Beef, della cioccolata, del latte condensato, della cioccolata ed altre cose portate dagli Americani, quando passò il fronte, le ricordo benissimo……..approfitto per salutarti…
Maurizio Maggini

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Caro Oscar questo  "delizioso " racconto condito con un velo di zucchero che lo rende così particolarmente romantico, meriterebbe di essere accompagnato da altre simili narrazioni all'interno di una raccolta che descriverebbe magistralmente lo spaccato sociale di quegli anni travagliati, spaccati a metà tra disperazioni e speranze, tra fame e ingegno, con i passaggi stretti del nuovo attraverso i cunicoli  del pensiero vecchio che necessita d'innovazione. È la nostra storia amico mio e qualcuno deve appunto ricordarcela.  Complimenti.  Carlo Sciacca Prinzhofer


 


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