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Lettera al Presidente Napolitano

Firenze 10 giugno 2008                                                              

A Sua Eccellenza

Giorgio Napolitano

Presidente della Repubblica Italiana

Signor Presidente,

sono il figlio di Lando Conti, ex Sindaco di Firenze assassinato dalle BR-PCC il 10 febbraio 1986, e con questa lettera aperta sono a richiamare la Vostra attenzione su un questione di alto profilo umano e morale. 

Il 2 Agosto 1980, alle 10.25 del mattino, una bomba esplose nella stazione di Bologna: morirono ottantacinque persone e più di cento rimasero ferite; Lia Serravalli in quel giorno perse quasi tutta la sua famiglia ed ebbe irrimediabilmente compromessa la sua vita.

Fra le vittime vi erano infatti le sue figlie Sonia, di 7 anni, e Patrizia di 18, sua sorella Silvana di 34 anni, che portava in grembo un bimbo mai nato; fra i feriti gravi vi erano le figlie di Silvana, Alessandra e Simona, nipoti di Lia.

Perché possa meglio comprenderne il dramma, mi permetto di riportarle alcune frasi di Lia:

“….all’improvviso udimmo un boato terrificante. In pochi attimi, un fumo nero avvolse tutto. Il pavimento tremava. Cominciai a correre. Cadevo sui vetri, inciampavo nelle valigie delle persone. Gridavo, chiamavo «Patrizia! Sonia! Patrizia! Sonia!». D’un tratto, dal vestito, riconobbi Patrizia, era per terra, stava bruciando…. Scappai via, via dal dolore e da quell’orrore, non volevo vedere più niente” e ancora: “Tornai indietro a cercare Sonia. Trovai il suo cappellino arancione, lo presi. Era riversa con il viso per terra che affondava nei vetri. Stava morendo soffocata, ma con i piedi e le gambe continuava a muoversi, come se stesse chiedendo aiuto… Lei sembrava sanissima. Non aveva ferite, niente. La stringemmo, increduli” ma non basta: “Tornammo dentro a cercare Silvana. Cominciammo a scavare sotto i detriti, a mani nude. Ad un tratto sentimmo una voce che chiedeva aiuto, era una persona che stava morendo accanto a noi… alzai gli occhi e, tra le lamiere contorte di un treno, vidi due-tre persone infilate la in mezzo, agonizzanti. Trovammo Silvana, era bloccata da un pezzo di ferro del treno. Riuscii, con la forza della disperazione, a toglierlo di dosso. Era tutta bruciata. Quando arrivarono i soccorritori, non riuscirono neppure a metterla sulla barella. La presero con una coperta, era tutto un grumo di sangue, bruciata. Sotto di lei, c’erano le bimbe. Le aveva salvate proteggendole con il suo corpo”.

Sospendo un attimo per permetterle di riflettere su queste frasi sconvolgenti ma devo poi proseguire:

“Sonia, la più piccola, era ancora all’ospedale, andai da lei ad abbracciarla, starle un po’ vicino. Ero convinta che stesse bene, ma quando entrai nella stanza trovai i miei parenti in lacrime. Era morta anche lei, il 4 agosto. I medici non si erano accorti che aveva un’emorragia interna. Avrebbero dovuto intervenire prima sulla testa, ma c’era troppa confusione, nessuno capiva più niente”.

E poi, dai ricordi di Lia, affiora questa sconvolgente conclusione:

“Nessuna giustizia per i morti, nessuna verità per i vivi ! Contro chi dobbiamo urlare la nostra rabbia ? Non solo contro chi ha messo la bomba. Ma anche contro chi ha umiliato questa famiglia, ha deriso la memoria delle bambine lasciando impuniti i colpevoli, quelli che ordinarono la strage. Quelli non li hanno mai presi. E sono colpevoli quanto gli esecutori materiali. Colpevoli più di loro. Dovrebbero guardarci con gli occhi bassi, e sperare che Dio non esista !”

Signor Presidente, questi sono i ricordi di una mamma.

Lia ha poi avuto un altro figlio, Silvano Burri, che adesso ha 25 anni e non riesce a trovare un lavoro stabile e decoroso e che non può usufruire della Legge per le Vittime del Terrorismo e della Mafia per un cavillo burocratico: è nato dopo il manifestarsi dell’evento terroristico!

Lia ha richiesto il mio aiuto per cercare una soluzione ed ho cercato di fare quanto mi era possibile: in Febbraio ho scritto una lettera alle Istituzioni locali e alle principali Banche italiane; non ho ottenuto alcun risultato.

Ho quindi cercato di attirare l’attenzione delle Istituzioni con uno sciopero della fame di quindici giorni al quale si è unito Salvatore Berardi, un’altra vittima del terrorismo: anche questa volta non abbiamo ottenuto niente.

Anche le risposte sono state poche e preferisco non riferirle le parole e gli atteggiamenti delle Istituzioni locali (Sindaco di Bari e Presidente Regione Puglia) come pure evito di soffermarmi sull’indifferenza mostrata dai Presidenti dei tre principali Gruppi Bancari (Intesa, Unicredit e MPS): lasciamo perdere, non servono né a Lia né a suo figlio.

A questo punto mi nascono però spontanee alcune riflessioni.

Quanto deve ancora soffrire Lia ?

Non basta tutto quello che ha passato ?

Cosa hanno fatto di concreto le Istituzioni per questa famiglia ?

Signor Presidente, le scrivo questa lettera con il cuore e con la mente: aiuti Lia a trovare per il suo Silvano un lavoro adeguato; aiuti Lia a trascorrere gli ultimi anni della sua vita con una serenità che gli eventi le hanno negato e che lo Stato non ha saputo in alcun modo attenuare.

Fiducioso in un suo autorevole e tempestivo intervento, le invio i migliori saluti.

Lorenzo Conti

 

 

 

 

 

 

 


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