Alberto
Pasolini Zanelli
Contromiracolo a
Damasco: si allontana di nuovo una soluzione pacifica, almeno parziale, come
frutto dell’accordo sulle biologiche e chimiche che il regime di Assad sta
consegnando a controllori internazionali. Un testo definitivo doveva essere
approvato il mese prossimo a Ginevra, ma una serie di fatti nuovi nelle ultime ore rischia
invece di sconvolgere di nuovo la mappa politico-militare. È stato un
“incidente”: la confisca a mano armata di un deposito di “armi non letali” americane
date in custodia – e in segno di appoggio- a quella fra le fazioni ribelli che
gli Usa avevano deciso di appoggiare dato che entrambe le fazioni concorrenti
sono integraliste e jihadiste e quindi ostili alla causa di “democratizzazione”
di questo Stato arabo. Le sue basi sono (o dobbiamo dire “erano”?) raggruppate
principalmente presso la frontiera con la Turchia, la Cia aveva o stava addestrando diecimila guerriglieri.
Si chiama Consiglio Militare Supremo, ha un capo, il generale Salim Idriss, che
fino a poco prima ricopriva un’alta carica nel regime di Assad. Obbiettivo
immediato impedire la conquista del controllo della Valle dell’Eufrate da parte
delle milizie integraliste islamiche. Decisione presa in giugno quando sembrava
imminente la caduta di Assad e di conseguenza la divisione delle spoglie tra i
suoi nemici: fra i concorrenti quello guidato da Idriss era il prescelto da
Washington perché l’unico non identificabile con le tentazioni jihadiste.
Ma ecco il colpo
di scena, ieri l’altro, all’accampamento
dei guerriglieri “democratici” si presentano le milizie di uno dei concorrenti,
il Fronte Islamico, annunciando che la base era sul punto di essere attaccata
da milizie di un terzo gruppo, pure islamico e anzi affiliato ad Al Qaida,
contro cui offrono il loro aiuto. Una volta entrati nell’accampamento, invece, disarmano
i “democratici” e il generale Idriss si rifugia in Turchia. Gli americani paiono,
sul momento, prenderla a male e infatti annunciano la sospensione degli aiuti
militari “non letali”. Un segnale di “disimpegno”?
Così pare, o
forse è vero il contrario. Passano meno di ventiquattro ore e si moltiplicano
indicazioni in senso opposto: oggi Washington sarebbe pronta ad accordarsi
invece con il Fronte Islamico, riconoscendone la crescente forza militare,
conseguenza in gran parte delle diserzioni dai ranghi “democratici”,
demoralizzati dalle sconfitte su un campo da parte delle forze governative. Significherebbe
che Obama aprirebbe adesso ai fondamentalisti islamici, ai sunniti
intransigenti che vogliono imporre anche in Siria la legge coranica, aiutati e
finanziati dalle monarchie e dagli emirati del Golfo. Non proprio l’alleato
naturale dell’America ma evidentemente considerato in questo momento il male
minore: non sono affiliati ufficialmente ad Al Qaida come le milizie dello “Stato islamico della grande
Siria”, i concorrenti che si vanno rafforzando quasi ovunque con massicci
arruolamenti di guerriglieri in parte “importati” dall’estero (in gran parte,
anzi, dall’Europa), in parte dai disertori demoralizzati dalle strutture
militari “moderate”.
In questo
momento, insomma, la guerra civile siriana non si combatte, come in genere
accade, fra due nemici separati da un fronte. Qui ci sono almeno quattro
eserciti, ciascuno dei quali in guerra con gli altri tre. I seguaci di Al
Qaida, combattono contro il regime di Damasco, contro gli oppositori
“democratici” e in concorrenza con il Fronte Islamico. Il Fronte Islamico
contro il governo, contro Al Qaida e contro i “democratici”. I “democratici” contro
Assad e contro i due “eserciti”
fondamentalisti che vogliono detronizzare Assad. E i lealisti di Assad contro
tutti. Un Paese, quattro fronti, quattro guerre. L’Occidente è davanti al
solito bivio: levare le tende e lasciare che i siriani se la vedano fra di loro
(e in questo momento il regime di Assad è all’offensiva) oppure mettersi con la
fazione ribelle più forte. Che fino a qualche mese fa poteva sembrare quella
“moderata”, quale è giudicato oggi il Fronte Islamico.
Che però, se non
inalbera almeno i ritratti di Osama Bin Laden, fa parte a titolo pieno del
fronte integralista. La sua componente principale è l’ideologia Salafita, nata
in Egitto e rivale “intransigente” dei Fratelli Musulmani: i “moderati” il cui
regime è stato abbattuto al Cairo dai militari e con cui Washington ha deciso
di collaborare. Semplice non è, logico neppure. Certo non chiarisce le idee:
come accade spesso quando il pragmatismo dei governi fatica a imporsi perché manca
di coerenza. La fatidica “nebbia della guerra” è ancora più densa quando di
guerre se ne combattono quattro nello stesso Paese. Per qualcuno dei contendenti
c’è sempre qualche buona notizia. Perfino per Assad, che da un paio di giorni è
stato “eletto” dal settimanale “Time” nella lista degli “uomini dell’anno”. Al
terzo posto nel mondo. Al primo c’è il Papa.
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