Di Guido Colomba
Mentre gli Usa varano la "Volcker rule" che mette al bando
dal 2015 il trading proprietario in funzione antispeculativa, in Italia le
banche continuano a restringere il credito al consumo. Il Presidente Giorgio
Napolitano sbaglia quando induce Enrico Letta ad identificare nella riforma
costituzionale (che include una nuova legge elettorale) la ricetta per uscire
dalla crisi. Al contrario, avrebbe dovuto insediare una commissione di venti
saggi per ridurre al più presto la spesa pubblica (spiace che l'ottimo
Cottarelli sia stato collocato su un binario morto). Gli italiani hanno ben
capito la differenza dopo due anni di inutili annunci. Ne fa fede, giunto al
quarto giorno, il movimento di protesta detto dei "forconi" che
dilaga in tutta Italia. Non a caso il presidente degli industriali, Squinzi,
sottolinea che c'è "troppa disperazione" in Italia mentre Matteo
Renzi, dopo la trionfale vittoria nelle primarie Pd, ricorda in tv che c'è una
crisi "sotto pelle" che attanaglia l'Italia. Purtroppo Enrico Letta,
dopo quasi otto mesi di governo, insiste nell'errore di annunciare alla Camera
il "libro dei sogni" senza porre in prima fila il tema della spending
review (non solo dei partiti ma di tutta la macchina dello Stato), unico
approccio valido per ridurre la pressione fiscale (total tax rate al 68%, somma
di tasse e contributi pagati dalle imprese sui profitti) che nel frattempo
galoppa a tutti i livelli. Secondo molti economisti solo riducendo il cuneo
fiscale di almeno 10 miliardi all'anno si può sperare in un impatto positivo.
Letta, nel discorso sulla fiducia, ha dato una notizia curiosa precisando che
l'Italia paga 90 miliardi di interessi sullo stock del debito (2034 miliardi)
che equivale al 4,42%. Un tasso decisamente troppo elevato rispetto ai livelli
della Bce (ora allo 0,25%). Solo i Btp decennali superano, se pur di poco, il
quattro per cento. Tutto il resto è nettamente inferiore. A meno che non si
includa in questo "costo del servizio" anche i derivati
"interest rate swaps" (re: Vittorio Grilli dixit 2011) che
incautamente Tesoro e Banca d'Italia hanno accumulato con scarsa trasparenza.
Qui sorge un nuovo interrogativo: se il debito sovrano è "coperto"
dai rischi di default allora lo spread non dovrebbe avere rilevanza per
l'Italia. Perchè non si affronta l'argomento con le agenzie di rating? O forse
occorre una commissione di inchiesta per capire gli errori commessi in questi
ultimi anni nella gestione di tesoreria (Tremonti incluso)? Nè si capisce
perchè Enrico Letta se ne faccia un vanto visto che lo spread sta scendendo in
tutta Europa. Vi è poi questo balletto fiscale con Befera, direttore
dell'Agenzia delle Entrate, che a giorni alterni annuncia la lotta contro
l'evasione - sempre indicata a 130 miliardi - senza portare risultati
apprezzabili visto che solo il 4-5% del contenzioso viene effettivamente
incassato. Sta di fatto che Squinzi ieri ha denunciato il crescente divario tra
economia reale e politica: "Le imprese non sono un bancomat per lo Stato
". Nel frattempo il Governo ha preteso come acconto (entro il 10 dicembre)
l'intera Ires dell'anno precedente con un importo superiore (102% per le
società e 130% per le banche e le assicurazioni) pur in presenza di redditi in
caduta libera. Intanto l'aliquota Ires sale dal 27,5% al 36% per i soggetti
Ires colpiti dall'addizionale specifica. Una nuova mini-patrimoniale. Il
ministro del Tesoro, Saccomanni, scambia "i debolissimi segnali di
ripresa" (nel terzo trimestre, crescita zero) per la fine della
recessione. Basterebbe ricordargli come il "Funding for lending
scheme" a favore delle PMI inglesi stia dando risultati tali da far
definire il Regno Unito la nuova locomotiva europea. E' fin troppo facile
affermare che Matteo Renzi doveva vincere un anno fa per bloccare questa sedia
a dondolo cosparsa di grasso industriale su cui scivola l'Italia intera. Il
ventennio della Seconda Repubblica ha avuto effetti disastrosi. Come se non
bastasse, con i governi Monti e Letta sono andati perduti altri due anni.