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Finita la seconda repubblica, occorre una vera politica industriale



                                                                di Guido Colomba
 (The Financial Review n. 793) La svolta c'è stata. Ed ha segnato la fine della Seconda Repubblica. Anche sui testi di storia vi sono specifici episodi che sono assunti come momenti di passaggio da una fase all'altra. La decisione della Corte Costituzionale (ha cancellato il premio di maggioranza e le liste bloccate) ha colto di sorpresa la casta politica ed ha posto fine alla "politica degli annunci". Monti e Letta, bloccati da lacci e laccioli, non sono riusciti a incidere sulla grave situazione italiana. Come ha detto, ieri sera, Diego Della Valle in un noto programma tv (Santoro) "la gente comune non crede più alla capacità della politica di risolvere i problemi" alla luce dei disastrosi risultati sotto gli occhi di tutti. E' evidente che non si dice la verità sulla finanza pubblica che non riesce a pagare, nemmeno a rate, i debiti della P.A verso i fornitori. Eppure il debito continua a salire (134% del Pil e 84 miliardi di interessi su uno stock di oltre 2000 miliardi) nè si vedono vie di uscita: il supertecnico Saccomanni, già sei mesi fa, si è affrettato a dire che non erano "rinvenibili tagli della spesa pubblica". Sta di fatto che ancora non si è riusciti a dipanare l'IMU sulla prima casa nè a ridurre il cuneo fiscale su lavoro e imprese. Saccomanni, due giorni fa, ha smorzato sul nascere l'odg votato alla Camera per destinare alla riduzione del debito pubblico gli introiti della spending review e della lotta agli evasori fiscali. Purtroppo, sono proprio queste posizioni ambigue che indeboliscono l'Italia in sede europea. Inoltre, la crisi europea si è aggravata tanto da porre sulle spalle della Bce un problema reputazionale legato al varo della unione bancaria (gli stress test gestiti dall'Eba nel 2011 diedero una descrizione sbagliata delle banche europee a tutto danno dell'Italia). Anzichè usare i fondi comuni si è andati verso il solo coordinamento dei fondi nazionali. Gli attacchi continuano su tutti i fronti: ad esempio, un grande gruppo assicurativo come Generali viene accusato da Moody's di possedere troppi Btp lasciando intendere che il "rischio Italia" è dietro l'angolo. Una prova evidente del fallimento per l’Italia (ma anche per la Francia e la Spagna) di ottenere un riequilibrio strutturale della costruzione europea. Paul Krugman, nobel dell'economia, ha più volte ridicolizzato l'austerity tedesca citando, non a caso, il successo della politica espansiva degli Stati Uniti (a novembre creati 203 mila nuovi posti con il Pil al +3,6%) e della Gran Bretagna divenuta la vera locomotiva europea (PIL +1,4% e occupazione in forte aumento). Nonostante ciò, Germania e Nord Europa vorrebbero imporre anche ai depositi dei privati l'onere di eventuali fallimenti bancari, dimenticando i massicci interventi del governo tedesco a favore delle proprie banche regionali, ed intensificano le critiche a Mario Draghi. Lo stesso Meccanismo Unico di Risoluzione, che verrà discusso nei due vertici del 9 e del 19 dicembre, rischia di essere sottodimensionato fallendo l'obiettivo primario di separare il debito sovrano dai portafogli bancari. Eppure l'Occidente ha dato un appoggio formidabile in occasione dell'unificazione tedesca. Va sempre ricordato che, in questi cinque anni di crisi, l'Italia ha fornito ben 54 miliardi di aiuti ai paesi in crisi (Irlanda, Islanda, Grecia, Portogallo, Spagna, Cipro) aggravando così il proprio debito sovrano. Altro che solidarietà e fondo comune di garanzia. Nel frattempo, il "fiscal compact" aleggia come un incubo sul futuro immediato. Per l'Italia ballano 40-50 miliardi di euro all'anno che dovranno essere trovati per ridurre lo stock del debito pubblico al 60%. Nel frattempo tutta l'Europa perde terreno rispetto al mondo globalizzato. Un cambio geopolitico che richiede una grande coesione tra i paesi europei. Siamo di fronte alla reindustrializzazione degli Stati Uniti mentre l'Italia non fa nulla per rilanciare il manifatturiero. L'economista Zingales afferma che in Italia "il capitalismo relazionale" è finito. Lo stesso Prodi, ricordando la storia della gloriosa Banca commerciale, ha sottolineato il ruolo negativo di Mediobanca che "ha messo in un freezer l'industria italiana". Il Censis dipinge un Italia fiaccata dalla crisi con 1,6 milioni di aziende chiuse dal 2009. La tragedia dei cinesi a Prato costituisce l'ennesima conferma dell'assenza di controlli spesso con la connivenza delle autorità locali e nazionali. Un intreccio e un degrado che i cittadini "main street" non intendono più accettare. (Guido Colomba – Copyright 2013 - edizione italiana)