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Lo statista più inventivo, tenace, attivo



Alberto Pasolini Zanelli
Non è, finora, in testa a nessuna delle hit list che si affollano negli ultimi giorni di un anno a designarne i protagonisti, nello stile riservato un tempo alla musica leggera. I “primi dieci” sono capeggiati quasi ovunque da Papa Francesco, ed è giusto. Sorprende che al numero due non compaia Vladimir Putin, che nella politica internazionale – e anche in quella interna – è stato certamente negli ultimi mesi lo statista più inventivo, tenace, attivo. C’è chi dice iperattivo. Lo dimostra da settimane e mesi in tutti i campi. L’ultimo suo gesto ad avere attratto attenzioni e curiosità è la raffica di amnistie che il Cremlino ha sparato un po’ in tutte le direzioni, distribuendo grazie a decine di migliaia di detenuti per troppo vivace opposizione a Putin. Le più conosciute al grande pubblico occidentale sono probabilmente le ragazze del Pussy Riot, danzatrici in stile cancan davanti all’altare maggiore della più famosa cattedrale di Mosca, in compagnia dei morigeratissimi e tranquillissimi attivisti di Greenpeace. Il più famoso  è la liberazione di Mikhail Khodorkovski, il miliardario più miliardario della Russia di Eltsin, il “Prigioniero di Zenda” di quella di Putin, che la solita accusa di evasione fiscale era valsa dieci anni di “turismo” penitenziale nelle isole che formavano l’ex Arcipelago Gulag. All’ultima, sul Mar Bianco, egli era approdato su una tradotta da carcerato: ne è ripartito su un jet privato verso Berlino e l’abbraccio dell’ex ministro degli Esteri tedesco Genscher, co-architetto della Ostpolitik e della riunificazione.
Una grande “nevicata di generosità” per giustificare la quale l’uomo del Cremlino non ha avuto che da scegliere: celebrando il Natale con l’abbraccio delle gerarchie ortodosse, il ventennale della Costituzione della Russia postsovietica; contrappunto a una serie di iniziative più strettamente politiche e grintose. Ultimo il braccio di ferro con le piazze di Kiev e le cancellerie dell’Occidente per l’influenza sull’Ucraina, che era stata tentata di fare il passo più lungo della gamba nei rapporti con l’Europa e che ha finito col doversi accontentare di un prestito di quindici miliardi dello Stato russo dai termini molto elastici. Una prova di forza che ha fatto arrabbiare, in Occidente, soprattutto i tedeschi dopo che altri due match di braccio di ferro hanno indispettito francesi e britannici (parole e fatti cortesi verso l’Italia) a proposito della Siria e dell’Iran. Il bersaglio vero era naturalmente l’America, che ha ricevuto un altro paio di buffetti da Putin: la conferma dell’installazione di missili russi nella zona baltica a far fronte a quelli voluti da Washington con giustificazioni di uno “scudo” contro ipotetici attacchi dell’Iran, molto più a Sud sul mappamondo. Senza calcolare le mosse più costruttive in Asia: l’infittito dialogo con Pechino, il progetto di una zona economica integrata da Vladivostok verso la Cina e di un prolungamento della Transiberiana nella stessa direzione.
Tutta questa fervida varietà ha però radici comuni, che si potrebbero riassumere in una “strategia dell’attenzione”. Putin è convinto che il mondo debba ascoltare di più la Russia, tenerne più conto in molti settori ma soprattutto nelle aree geografiche a lei più vicine, cioè nei territori che erano appartenuti all’Unione Sovietica e, molto prima, all’impero degli zar. Quello che il neo-zar vuole dimostrare è soprattutto che dopo il tramonto del “mondo bipolare” della Guerra Fredda, deve venire anche quello del “mondo unipolare”, cioè dell’incontrastato dominio dell’America. “Multipolare” è come Putin lo amerebbe, soprattutto nel senso che non in tutti i campi il “numero due” deve essere la Cina. Dato a Pechino il ruolo di interlocutore numero uno di Washington, Mosca ritiene di avere altre due carte importanti da giocare: quella militare nutrita di tremila testate nucleari e soprattutto quella politico-diplomatica, che di recente ha messo sul tavolo con efficacia soprattutto nel Medio Oriente. Egli gioca in sostanza il vecchio asso del nazionalismo di grande potenza, simboleggiato di recente anche dalla Marcia Russa, che ha preso il posto delle parate sovietiche e celebra una rivincita un po’ datata, nel 1612. Tradizione, realismo, ambizione. Messa giù nel modo più audace e smaccato anche nell’articolo che Vladimir Putin ha firmato di recente sul New York Times e che contiene pesanti ironie sull’“eccezionalismo americano”. Putin non è sempre così dispettoso verso gli Usa: ci ha appena firmato un accordo. Umanitario: per salvare gli orsi polari.