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Dal labirinto delle urne ucraine ....



Alberto Pasolini Zanelli
Dal labirinto delle urne ucraine non è uscito, e non poteva uscire, un serio contributo a una soluzione ragionata di una crisi “diplomatica” che è già stata trasportata sul piano militare e, pur avendo rallentato il ritmo dei combattimenti, non ha prodotto un vincitore né sul campo né nei corridoi oscuri delle mediazioni internazionali. Letti i risultati di domenica, solo un ottimista a dismisura potrebbe trovare quelle cifre chiare o almeno indicative. Ha vinto il partito del presidente della Repubblica e apparente fautore di una strategia il più possibile equilibrata e “moderata”, ma Poroshenko è stato scelto da appena un quarto dei votanti e da anche meno degli elettori e per governare dovrà stipulare compromessi con gli altri numerosi partiti democratici e/o nazionalisti, uniti solo nel resistere ai tentativi della Russia di rimettere ad ogni modo almeno un piede nel principale dei suoi “soci” (o satelliti) ai tempi dell’Unione Sovietica. Da quando la tensione fra Kiev e Mosca è diventata da politica anche militare, egli ha scelto una strategia doppia e razionalmente giustificabile: il “doppio binario”, l’opzione militare laddove il dissenso russofono si esprime con la violenza e le trattative per un compromesso dove esso è appena sott’acqua. Lo si è visto soprattutto nei giorni in cui russi e ucraini si affrontavano con le armi e Poroshenko e Putin si incontravano per trattare, riuscendo infine a mettere in piedi una sorta di temporaneo compromesso. Che non è piaciuto molto ai potenti sostenitori stranieri della causa ucraina, ma non della maggioranza di quella parte della popolazione che si distingue per il suo nazionalismo.
La maggioranza degli ucraini che hanno votato hanno espresso preferenze per partiti più a destra di quello di Poroshenko o meglio più “falchi”. Per questo si potrebbe dire che l’Ucraina stia esplorando i cammini di una eventuale mediazione. Per cui però non ci sarebbe, oggi come oggi, un sufficiente consenso. Approfondito dall’altra riserva, ancora più improbabile se paragonata alle regole internazionali nell’interpretazione dei Paesi democratici. Ma la situazione è resa più complicata e le soluzioni ancora meno credibili. Il ricorso alle urne sul territorio della vecchia Ucraina è stato infatti parziale, anche perché altrimenti non avrebbe potuto neppure essere proposto: alle elezioni, infatti, la minoranza filorussa non ha potuto neppure partecipare. Ne sono stati esclusi, infatti, gli abitanti di quei territori su cui Kiev non esercita la propria teorica sovranità: le aree che sono occupate e teoricamente governate dai ribelli la cui lealtà va piuttosto a Mosca e a Putin, a partire dalla Crimea (che si è addirittura dichiarata indipendente) per finire con le zone dell’Ucraina orientale a maggioranza appunto di lingua russa. Questo accorgimento, che probabilmente era senza alternative dal momento che altrimenti non si sarebbe potuto votare, ha agevolato il compito di tutti i partiti democratici, patriottici e nazionalisti, dal momento che l’opposizione non si è potuta esprimere nelle urne. D’altro canto, però, la validità democratica delle elezioni ne è evidentemente inficiata, dal momento che ne sono state escluse le roccaforti dell’opposizione. La “fetta” di consensi per Poroshenko è dunque in realtà ancora più ridotta. Non solo, ma la rinuncia a far votare gli abitanti delle province dell’Est potrà essere fatalmente presentata come la prova che “non ha parlato tutta l’Ucraina”, o addirittura che “l’Ucraina non esiste” ma esiste unicamente un territorio che può, o forse addirittura dovrebbe essere, rimaneggiato, rimodellato in riferimento non al suo statuto giuridico ma alla sua storia. Argomenti che non possono non far piacere a Putin. Le aree che contestano il governo sono dunque russe in attesa di poter ridiventare Russia. Che sia questo il desiderio del Cremlino è da tempo ovvio ed è stato confermato anche di recente dalle rivelazioni circa l’offerta di Mosca al governo di Varsavia di operare per una divisione dell’Ucraina, restituendo ai polacchi almeno una parte di una terra che era stata per secoli loro dominio. Varsavia ha subito risposto negativamente, ma l’argomento tabù è stato in qualche modo introdotto nella stanza delle trattative ipotetiche e comunque segrete. Una soluzione potrebbe essere ancora più lontana. Quella soluzione è naturalmente oggi ancor più improponibile. Resta lo scontro, che apparentemente Putin preferisce trasferire e limitare al terreno politico ed economico piuttosto che al campo di battaglia.