Alberto Pasolini Zanelli
Onora il padre e la
madre. Ogni tanto qualcuno sente il bisogno di ricordarlo, di ripeterlo.
Rispolverando un comandamento, appellandosi agli affetti, promuovendo
iniziative oppure promulgando leggi. Ultima ora la Cina, che ha inserito nei
suoi codici un monito severo: “I membri della famiglia che vivono separati
dagli anziani sono tenuti a frequentarli o a farsi vivi il più spesso
possibile”. Nessun Paese del ventunesimo secolo, neanche i più tradizionali o
tradizionalisti, ha nei suoi codici un comandamento civile del genere. Nessuno
aveva finora codificato che trascurare il babbo e la mamma, il nonno e la nonna
sia il Male. Di questi tempi i giornali, la tv, le comunicazioni on line
rigurgitano di racconti di vecchi messi da parte, dimenticati, scaraventati nel
cestino dei ricordi avari. Si raccontano casi personali molto tristi, come
l’odissea di quell’anziano genitore e di suo figlio che finalmente era riuscito
a trovare un posto di lavoro. Si trasferì, cambiò il numero di telefono e papà
non seppe più nulla di lui, nonostante continuasse a cercarlo in ogni giorno o
momento libero. Finché lo trovò e il figlio rifiutò di vederlo perché si
vergognava di avere un babbo così “paterno”.
Un “caso” che ha
suscitato emozioni, un po’ come se fra un miliardo e mezzo di abitanti
dell’immenso Paese si diffondesse un’epidemia di mea culpa e una denuncia del
collasso degli standard morali. E che ha generato una riforma, che è poi una
controriforma, come sovente nella Cina del ventunesimo secolo, che riattiva le
sue radici di Paese antichissimo di cui la famiglia è stata per millenni il
cardine secondo i dettami della morale confuciana.
Ma da un humus
culturale solo in parte diverso fiorisce anche un’alternativa altrettanto
audace e così diversa, appena al di là di un braccio di mare: in Giappone. Se la Cina comincia a trasformarsi
in un Paese di vecchi, il Giappone lo è già da decenni e cerca di lenirne le
conseguenze in un modo completamente diverso, ispirato all’iniziativa
individuale e non alla forza dello Stato, meno al senso gerarchico del dovere e
di più a sottili vie pedagogiche concepibili in una società libera. Il soccorso
per i babbi e i nonni nipponici troppo soli potrebbe riguardare tutte le
anziane coppie rimaste senza figli, sia perché questi ultimi adulti, non hanno
più tempo o uso per i genitori ma anche per coloro che non hanno figli perché
sono morti o semplicemente perché non sono mai nati. Adesso, nelle turbe della
solitudine, possono prendersi dei figli in affitto. Qualcuno che sostituisca
per qualche ora colui o colei che non c’è. Che gli faccia visita, si
intrattenga con loro o li intrattenga. Che susciti o nutra la conversazione.
Che partecipi, come officiante o come invitato, alla cerimonia del tè. Che
riempia quel “buco nel cuore” di cui ha scritto una donna di Tokio. Insomma un
vicario, ma non un vicario di cuore. Non è un benefattore il giovane, o più
spesso l’uomo maturo, che bussa a una porta di casa altrui. Non è un testimone
di umana solidarietà delegato dalla collettività a lenire le sofferenze del
singolo: è un attore. Viene a fare il suo mestiere e per qualche tempo lo
possiede e quando ha finito non lo si ringrazia ma lo si paga. E cui, dunque,
si fornisce il copione, si sottopone a regia. È un escort, per il nonno o la
nonna, che le consoli delle solitudini più pure e dolorose. Un interprete
probabilmente più “bravo” di un figlio costretto dalla legge a
nascondere la propria estraneità interiore. Un attore. Anche per questo il
biglietto costa caro: da mille a duemila euro per uno “spettacolo” che dura in
media tre ore anche se è, molto spesso, valido per due persone. Include, è
facile immaginarlo gesti stilizzati, formule dell’inchino, del benvenuto e
dell’addio, equilibri delicati che un movimento di troppo potrebbe in ogni
momento incrinare. Ci vuole dunque un professionista, non un giovanotto dal
cuore aperto e dalle buone intenzioni. Perché spesso egli deve impersonare non
un figlio come era stato o dovrebbe essere: sintetizzato, idealizzato.
Impresa ardua ma forse meno impensabile in un Paese come il Giappone che non in
culture e società più “naturali” e già teatrali di loro come l’Italia
tradizionale oppure l’America moderna dove semmai la mamma dovrebbe pagare
qualcuno che imiti e sostituisca il figlio che mangia e scappa in palestra,
dove passa molto più tempo, da sveglio, che in casa. In Cina ci prova il
governo, il Potere.