Alberto Pasolini Zanelli
Il Sud America sta
diventando un matriarcato? I dati delle consultazioni elettorali paiono, fino
ad oggi, confermarlo. Il Cile è governato di nuovo da Michelle Bachelet.
L’Argentina ha già avuto tre donne presidente, legate da parentele non soltanto
politiche: una moglie e due vedove. Evita Peron, consorte e ispiratrice;
Isabela Peron, erede a causa decesso e Cristina Kirchner, scelta dagli
argentini. Sarebbe una grossa sorpresa se le urne brasiliane non confermassero,
domenica o al più tardi nella votazione di ballottaggio quattro settimane dopo,
Dilma Rousseff, che non ha mai sposato il suo leader e ispiratore Lula, ma che
continua a sembrare la sua erede politica e ideale. I sondaggi qui hanno subito
qualche sussulto, ma la vigilia sembra avere riportato la vicenda nella
carreggiata, vale a dire confermando il personaggio forse più improbabile.
Candidata della sinistra (il Partito dei Lavoratori) è la cosa più simile a una
piccola borghese, figlia di una maestra elementare e di un avvocato bulgaro,
militante comunista scappato in Brasile pochi anni prima che i comunisti
prendessero il potere a Sofia e cominciassero a scappare gli altri, i loro
avversari. Quell’avvocato invece non ci pensò neppure a tornare in patria:
aveva messo le radici ben presto in riva al Rio Grande do Sul. La figlia la
mise a studiare in un collegio di suore belghe dove si studiava francese e le
fece prendere lezioni di pianoforte. Tutto quello che si conveniva al suo
status sociale, tranne il sogno di Dilma, che era diventare ballerina.
A cambiare la sua
vita e quella di tanti altri brasiliani venne la dittatura militare, che a poco
a poco si allevò in seno, nonostante la durezza della repressione, un forte
movimento di resistenza con un leader anch’egli tutt’altro che convenzionale:
un operaio metallurgico salito al grado di leader sindacale e deciso a
combattere il potere con tenacia e coraggio ma con mezzi pacifici. Dilma, che
all’inizio evidentemente non lo conosceva, fece una scelta più radicale: entrò
a far parte di un gruppo militante marxista-leninista che, ispirandosi
soprattutto al modello cubano, cercava di rovesciare il regime con le armi. Lei
fu dunque guerrigliera anche se non sparò mai un colpo: glielo impediva la sua
tremenda miopia. Però cospiratrice era appieno e presto entrò nella leggenda
come la “Giovanna d’Arco sovversiva”. Nella giungla ma anche in città: non
potendo prevedere che sarebbe diventata un giorno ministro delle Finanze, Dilma
partecipò a un assalto a una banca al fine di finanziare la guerriglia Finì che
la catturarono, passò tre anni in carcere, fece la dolorosa conoscenza della
tortura mediante elettrochoc. Sopravvisse, terminò gli studi, entrò in
politica, trovò il tempo di diventare nonna e di divorziare due volte. Ma anche
di diventare il braccio destro del presidente rivoluzionario. “Lula il
metallurgico”, all’inizio, non capiva molto di finanze, bilanci, investimenti:
glielo spiegò lei, che “suonava” il computer come il pianoforte. Capirono
assieme i problemi e cominciarono ad occuparsi delle soluzioni. Decisero che il
compito più urgente era la “democratizzazione dell’energia”, da realizzare
attraverso il programma “Luz para todos”, “luce per tutti”, l’accesso
all’elettricità per i poveri delle campagne. Progetto ambizioso, ritenuto
improbabile, come del resto la donna incaricata di realizzarlo.
Il successo smentì
un luogo comune sostanzialmente sensato: che un “proletario”, un sindacalista,
un cofondatore del Partito dei Lavoratori, in gioventù organizzatore di
scioperi, a lungo considerato un estremista, una volta salito al potere,
avrebbe sviluppato, invece di capovolgerle, le intuizioni del suo ultimo
predecessore di destra e, invece di soffocare (come tutti temevano)
l’iniziativa privata, la energizzasse con una carica sociale, spalancasse le
porte agli investimenti stranieri e al tempo stesso trasformasse il Brasile in
un grande investitore all’estero: i pilastri del Miracolo Brasiliano, che in
quasi tutti i settori produsse un boom di dimensioni paragonabili a quelli della
Cina e dell’India ma con più eguaglianza che in India e infinitamente più
libertà che in Cina. Le cifre a confronto dimostrano che il Paese più
“capitalista” fra quelli rivoluzionari sapeva combattere e ridurre la povertà
in misura chiaramente superiore. Il Brasile era il termine di paragone delle
massime diseguaglianze, rigorosamente spartito fra ricchi molto ricchi e poveri
molto poveri. Eppure negli ultimi dieci anni oltre quaranta milioni di
brasiliani sono saliti nella classe media e di altrettanto è calato il numero
dei miseri.
Solo negli ultimi
anni il boom cominciò a rallentare anche in Brasile, soprattutto dopo che Lula,
cui un dispositivo costituzionale impediva di candidarsi per la terza volta,
passò la mano a Dilma, competente ma priva di quel fascino quasi magico.
Cominciò a salire la delusione, a trasformarsi in malcontento. Veniva criticato
proprio il cardine del “miracolo”, lo sviluppo di una classe sociale nuova per
il Brasile e per l’America Latina in genere: gli ex proletari. Milioni di cittadini
diventarono nuovi consumatori, accumulando spesso le “prime volte” nelle loro
famiglie: primi ad avere accesso all’università, a comprarsi un computer, ad
aprire un conto in banca, ad avere accesso ai crediti. Eppure proprio loro da
un paio d’anni protestano. Una rivolta dei beneficati, dei tanti che stavano
meglio ma si sentivano a disagio perché non traevano dagli aumentati guadagni
un miglioramento adeguato nelle condizioni di vita. Gente del ceto medio che in
qualche modo continua a sentirsi povera e come tale si comporta. In termini,
soprattutto, di scomodità. Rio de Janeiro è una delle dodici città più care al
mondo per viverci, molto più, per esempio di New York. Il costo dei trasporti
urbani a Sao Paulo è assai più elevato che a Parigi. E la qualità è inferiore.
Il sindaco di Rio si è lamentato anche di recente di non avere mai un centesimo
in sussidi per i trasporti pubblici, in contrasto con i miliardi elargiti a
futuristici progetti di architetti come Oscar Niemeeyer o, più modestamente ma
non tanto, nel rinnovo dello stadio Maracanà, più di 12 miliardi già stanziati
per le Olimpiadi del 2016. Un malcontento sorprendente se non si spiegasse con
la crescita parallela dei bisogni e la
fragilità delle strutture. Quest’anno si è aggiunta una componente insolita
perfino per il Brasile: l’ondata di demoralizzazione per la sconfitta nei
mondiali di calcio. I sondaggi rivelarono i punti deboli di Dilma Rousseff. La
davano ancora in testa, ma priva della maggioranza assoluta al primo turno e,
nel caso che si arrivi al ballottaggio, l’emergere di una rivale, da sinistra. Nessun
candidato conservatore poteva e può battere Dilma. Cosa improvvisamente
probabile alla presentazione delle candidature: una del Partito dei Lavoratori
(la Rousseff), uno della destra (che nel curioso gergo politico brasiliano si
chiama Partito Socialdemocratico) e uno “centrista”, del Partito Socialista.
Tre candidati alla
presidenza, tre “vice” e da lì la novità, la Donna Nuova venuta dalla giungla. Il
luogo natale di Maria Osmarina Silva Vaz de Lima non si trova su nessuna mappa,
pure quelle di Google. È una terra che produce soltanto gomma e miseria e, come posto di lavoro, la raccolta della gomma
grattando la corteccia dei tronchi con un machete. E ci si ammala presto, di quelle
infezioni da metalli, oppure di malaria. L’unica abbondanza che le diede il
benvenuto erano i nomi: Maria, Osmarina, Silva, Vaz de Lima. Il papà,
professione serenguiero, raspava le
croste ed era morto da poco quando la figlia, già ministro, “fece qualcosa” per
la sua terra natia: fece costruire una fabbrica di preservativi. La mamma era
discendente di schiavi, mescolati, neri e indigeni. Per questo la paragonano
oggi a Barack Obama. Un sangue misto che ha avuto fortuna, soprattutto a
sopravvivere. Aveva dieci tra fratelli e sorelle, tre morirono ancora nella
culla. Lei è venuta su abbastanza robusta, anche perché ci sta attenta: evita
tutto ciò cui è allergica, carne rossa, alcol, cubetti di ghiaccio, lattosio,
aria condizionata. Tutte caratteristiche che devono averla aiutata a diventare
una delle ecologiste più famose dell’America Latina e, indirettamente, a
portarla fra pochi giorni, a quanto pare, alla carica di presidente della
Repubblica brasiliana.
Non lo prevedeva
nessuno né lei vi aspirava. Aveva solo accompagnato all’aeroporto il candidato
del suo partito, socialista, di cui lei doveva essere la vice. In sette-otto
sono saliti sull’aereo, lei all’ultimo momento è rimasta giù, l’aereo si è
schiantato al suolo. La scampata ha riconosciuto subito il merito alla “Divina
Provvidenza” dal pulpito di predicatrice di una setta evangelica, la “Libera
Assemblea di Dio”, di cui fa parte oggi: da ragazzina era cattolica, fervente
al punto di costruirsi da sola, con la sorellina, delle specie di altari. Poi
diventò protestante, “evangelica”, come accade da tempo a molti brasiliani, al
punto da preoccupare le gerarchie cattoliche che proprio in questo Paese
constatano una defezione di milioni. Già prima c’era stato molto interesse, nel
Sud America, per la Teologia
della Liberazione (che è cattolica) almeno fino al giorno in cui la sua voce
più forte ed ascoltata, l’arcivescovo Romero, venne ucciso da un sicario mentre
celebrava la messa. Silva, quel giorno, era già diventata comunista, non rimase
molto neanche nel Partito perché la sua passione prevalente era quella
dell’ecologia e così la troviamo ben presto fra gli attivisti Verdi.
Diventarono così tre i partiti brasiliani teoricamente alleati, in realtà
soprattutto concorrenti. Di qui la “discesa” di Dilma nei sondaggi nelle ultime
settimane, che aveva finito con l’apparire irreversibile e che, proprio alla
vigilia del primo turno elettorale, sembra sia stata pienamente recuperata.
Nella pancia di una sorpresa. E ritorno in vita degli slogan precedenti e soprattutto
delle considerazioni di fondo. L’ultimo conteggio preelettorale dà di nuovo
Dilma Rousseff con un vantaggio fra i 10 e i 15 punti su Maria Osmarina Silva,
sempre al di sotto della maggioranza assoluta. In mancanza della quale si
arriverebbe al ballottaggio e gli elettori di destra potrebbero “vendicarsi”
votando in massa per l’estrema sinistra. Non è probabile, sarebbe bizzarro. Ma
la politica brasiliana comincia ad abituarci a quel genere e a quelle
dimensioni di sorprese. Morti e resurrezioni.