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Via dalla Siria


Alberto Pasolini Zanelli

Non è una delle solite sorprese di Trump. Il ritiro delle truppe americane dalla Siria è comunque un evento storico o quasi. È stato preannunciato per un paio di settimane, che hanno suscitato anche una tenace e chiassosa opposizione in diversi settori del potere a Washington. Dei comandi militari, che hanno riserve anche a lungo termine ma che sono urtati in questo momento sopratutto dalla rapida attuazione di una svolta che contrasta con la strategia non di mesi ma di anni. Più “sotterraneo” e dunque più profondo il malumore del gruppo di interessi legati all’industria militare. Ma la reazione più aperta e chiassosa è naturalmente quella dei “falchi” che sono numerosi nell’amministrazione Trump. La più aperta è stata finora quella di Bolton, un “ideologo” estremo e coerente, il cui ingresso nel circolo di governo costituì una sorpresa anche in quanto non fu immediata. Bolton era stato un consigliere molto ascoltato dal secondo e ultimo presidente Bush (il figlio) nel decidere la seconda “guerra  americana in Irak”, che è ancora in corso e non accenna a sfociare in una soluzione politica. L’intervento in Siria è stato più indiretto anche perché plurimo. Negli altri paesi nel Medio Oriente i fronti erano, almeno dal principio, chiari e netti, in due formule: rivolte estremiste (culminate in quelle targate Isis) e quelle che mirano a trasformazioni democratiche di Paesi a struttura dittatoriale o almeno autoritaria. L’eccezione è l’Arabia Saudita, antica alleata dell’America, sopratutto per interessi economici e quindi leader di un “progetto” più vasto centrato sulla stabilità petrolifera che Washington considera minacciata dall’Iran e di protezione di Israele.

Ma la Siria è ed è sempre stata un caso a parte. Non esporta petrolio. Non è mai stata democratica ma neppure totalitaria. Non è governata da integralisti islamici ma, almeno sulla carta, da un partito le cui fondamenta ideologiche si richiamano semmai all’estrema destra (durante la seconda guerra mondiale Damasco era presidiata dai francesi ma simpatizzava per la Germania, attraverso un partito cui apparteneva nel vicino Irak anche Saddam Hussein). Un Paese anche dai tratti originali, fra cui una importante presenza etnica curda e una divisione fra sunniti e sciiti, cui appartiene il presidente Assad. E infine un rapporto privilegiato con la Russia dovuto al fatto che è l’unico Paese a fornire a Mosca una base nel Mediterraneo.

È questo uno dei motivi per cui questa guerra è durata oltre sette anni e di conseguenza ha causato perdite enormi soprattutto di civili e una larga e angosciata emigrazione. Nessuno dei belligeranti è riuscito a prevalere, meno di tutti quello “democratico” appoggiato dall’America. L’Isis è parsa a un certo punto trionfale, invece è stata dopo anni quasi espulsa dal Paese come risultato di una controffensiva condotta principalmente dalla Russia e con una presenza iraniana. L’America si è trovata in una posizione secondaria ed è questo uno dei motivi che hanno convinto un “falco” come Trump a ordinare il ritiro. Che è però coerente con una sua più ampia convinzione: avere il più forte apparato militare del mondo ma tenerlo il più possibile in casa.