Alberto
Pasolini Zanelli
Forse non è del
tutto vero che il futuro, anche prossimo, sia riservato, almeno sul nostro
pianeta, alle macchine che affettuosamente chiamiamo robot. Spunta
un’alternativa: invece di quelli meccanici, quelli in carne ed ossa, costruiti
almeno in parte non nelle catene di montaggio ma dentro degli esseri umani.
Molto giovani, che devono ancora nascere, che sono già nel ventre delle mamme.
Però non interi, non completi, non prima di un intervento riproduttivo. C’è chi
ha già dato un nome ai prenati e ai neonati: designer babies. Il termine è stato proposto da un ricercatore
cinese, ma la ricerca e la forse imminente produzione sono cosa americana, come
i robot.
All’estero però ci
sono già dei clienti. L’ultima, quella che ha attirato più attenzione, è una
signora britannica che ha già quattro figli maschi ma che ha perso la pazienza
perché non arriva mai una femmina e adesso vuol farsela cercare attraverso una
fertilizzazione in vitro. Una pratica a Londra e dintorni è proibita fin dal
suo primo passo, che è l’esame degli embrioni per stabilirne il sesso (e
probabilmente decidere se farli nascere). Altre richieste vengono dall’estero,
dal momento che questo tipo di “ricerca” è vietato in quasi tutti i Paesi del
globo, con due sole eccezioni: gli Stati Uniti e gli Emirati Arabi Uniti.
Sorprendenti questi ultimi, ma non l’America, che da tempo è alla testa delle
più audaci avventure tecnologiche. Già da qualche tempo esistono apparati per
la prima fase del processo, la meno contestata: un apparecchio che permette di “leggere”
il contenuto delle donazioni di sperma per scoprire intanto il sesso, ma poi
anche altre caratteristiche fisiche, per esempio il colore degli occhi. Se la
pratica si diffonderà, una aspirante mamma potrà scegliere non solo il sesso
del bambino che vuole, ma anche caratteristiche fisiche di cui il colore degli
occhi è solo la prima, ma che concepibilmente potranno investire il colore
della pelle.
E qui si rischia
di entrare in uno scontro tra la scienza e non solo la libertà ma anche
l’umanità, dal momento che la pelle è, propriamente o meno, il primo segno
della razza. L’azzurro degli occhi è quasi sempre il primo segno. Ciò ricorda
esperimenti tentati e compiuti prima della Seconda guerra mondiale e non
condotti da razzisti ariani ma da pacifici scienziati in Paesi e società
democratiche. Un esperimento che gli eventi tedeschi e bellici cancellarono e
azzerarono perché ci entrò la “politica” nella sua forma più perversa e
bestiale. Per cominciare, la scienza non era progredita abbastanza e non
offriva i mezzi tecnici per fare esperimenti “puliti”.
Oggi, nell’era dei
robot trionfanti, i mezzi ci sono, compresi quelli finanziari. Negli Stati
Uniti la “industria della fertilità” è stata valutata quest’anno a un totale di
quasi sei miliardi di dollari. Un embriologo di New York, Heather Marks, ha
creato un deposito di embrioni e uova congelati in un centro di fertilità dal
nome Nuova Speranza. La scelta secondo il sesso è possibile attraverso un
processo chiamato Diagnosi genetica preimpianto: il clinico può prendere qualche
cellula da un embrione e usare test del Dna per esaminare la sua struttura
genetica, ciò anche al fine di identificare gli embrioni con caratteristiche
che i genitori trovano desiderabili. Esempi più benigni indicano persone sorde o
affette da nanismo che desiderano figli senza questi handicap. Non è ancora
possibile né richiesto cambiare l’embrione ma il processo aiuta i genitori a
scegliere quale embrione trasferire dentro l’utero e quale scartare.