Pubblichiamo la prolusione tenuta dal prof. Dario Seglie dell’Universitas Aestiva Latomisticensis, Symposium svoltosi nel Castello di Macello ( a 5 Km da Pinerolo) fatto erigere nel 1300 dai Principi di Acaja – Savoia
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Le culture umane espresse e presenti nel mondo sono gli ambiti entro i quali si svolge il divenire dell’identità delle persone e dei popoli, col riconoscimento esplicito delle differenze, delle inclusioni, dell’equiparazione culturale che non ammette gerarchie o supremazie.
Un quadro di riferimento legislativo emerge, a livello continentale, dall’art. 22 della “Costituzione” europea che esige il rispetto delle diversità linguistiche, religiose e culturali. E’ questo un quadro dinamico, flessibile e differenziato, che coglie positivamente il dato dello scambio e della comunicazione tra le culture, la cui molteplicità e diversità è una ricchezza per tutti tramite la salvaguardia delle differenti identità.
In questa prospettiva la laicità si coniuga con il relativismo, che connota la democrazia nel suo insieme, proprio al fine di garantire al massimo le fedi e i valori propugnati dai singoli.
In senso interculturale, relativistico, la laicità è effettivamente un profilo fondamentale della forma dello Stato pluralista come principio supremo dell’ordinamento costituzionale per una società in cui convivano pacificamente fedi, religioni, culture diverse.
Laico e liberale sono forse i termini maggiormente mistificati e distorti oggi. A parole sono tutti laici e liberali, anche se si schierano contro la ricerca scientifica sulle cellule embrionali, contro le unioni civili fra persone dello stesso sesso, o che stilino manifesti anti-relativisti e pro Occidente.
Eppure è impossibile essere laici e liberali senza essere relativisti. Non solo: la posizione di un relativista e di un non-relativista, di un laico e di un non-laico non sono paritetiche, bensì sono “asimmetriche”.
Il relativismo è il primo grande distinguo che la teoria della falsificabilità di Karl Popper ci permette di compiere riguardo all’ assoluto; la stessa locuzione “relativismo assoluto” è un ossimoro, una contraddizione logica non applicabile al concetto di cui parliamo. Invece, attraverso il criterio di falsificazione, il relativismo elabora l’idea che sia impossibile ottenere e/o detenere la verità assoluta e perpetua (intesa come verità scientifica; non ci interessa qui la verità ontologica o verità della verità), e non perché essa non possa esistere oggettivamente in sé; ma l’impossibilità è causata dalla fallibilità (metodologica oltre che storica) dell’uomo e deve essere sottoposta al controllo critico che ne stabilisce la – provvisoria – validità/veridicità.
Risulta ora chiaro perché il relativismo sia l’impianto metodologico fondamentale delle democrazie moderne: esso non determina una verità in sé e per sé, e pertanto, di conseguenza, -quindi- legittima il dissenso, cioè l’opinione diversa.
Questa è la premessa per tradurre lo Stato di diritto liberal-democratico in valori politico-sociali quali: libertà di coscienza, di espressione ed azione, auto-limitazione dei diritti, pluralismo etico, tutela delle minoranze, laicità delle istituzioni. Questi valori hanno la prerogativa di consentire la convivenza di tutti gli altri valori. Ecco che, di nuovo, emerge un’asimmetria: quella fra un relativista e un non-relativista, fra un laico e un non laico, fra un democratico e un anti-democratico. Volendo dare un nome a questa “prerogativa asimmetrizzante”, potremmo chiamarla “tolleranza” (la cui antitesi è l’estremismo, il fanatismo, il fariseismo, l’etnocentrismo, il terrorismo).
Gli “anti-relativisti” cadono, inequivocabilmente ma scientemente, in contraddizione affermando l’accettazione del sistema democratico: è un dato di fatto che, se si danno per buoni gli istituti e i valori dello Stato moderno, si accetta anche la metodologia relativista e, al rovescio, se si attacca il relativismo si attacca anche lo Stato moderno.
Democrazia e relativismo sono inscindibili.
Laicità non è anticlericalismo; ci possono essere protestanti, cattolici, diversamente credenti, agnostici e laici che credono tutti in qualche cosa di trascendente. La questione è la separazione tra Chiese e Stati, tra etiche e norme, per assicurare uno spazio comune di cittadinanza per tutti con la garanzia che nessuno invada il campo dei diritti personali umani intangibili.
I laici sono deboli perché sono dispersi nel corpo della società e non valorizzano quelle che sono le loro posizioni fondamentali: la lotta per l'uguaglianza, per la giustizia sociale, per la dignità della persona, azioni che –al più- fanno solo con voce flebile.
Manca un coraggio progettuale nelle nostre officine, nei nostri laboratori: il punto non è di alzare barricate ma di riconoscere che non c'è bisogno di importare i valori dall'esterno, di farseli prestare dalle Chiese, e che viceversa c'è una grande tradizione sociale, antropologica, filosofica, etica da mettere in campo, da affermare con autorevolezza, sicurezza e potenza.
Ormai ciascuno tende a cucinare da sé, o in piccoli conclavi, i propri ideali, indotti dall’omologazione di massa e da opinion leader asserviti a centri di potere disumani. In questo senso c'è allora il problema di come poter rilanciare il fronte laico, il pensiero libero, aconfessionale, presentando delle forti battaglie civili liberali in alternativa alla attuale rassegnazione dalla testa bassa e dalla schiena curva.
I laici hanno valori forti perché giusti, paradigmi che non devono importare da nessuno; basta che li rinverdiscano e li adottino con urgenza e con orgoglio.
Il problema non è il contrasto (sbandierato ma inesistente) tra fede e ragione, il contrasto è tra chi dialoga e chi ottusamente o scientemente si nega a questo ragionare, si chiude, si appoggia al dogma e rifiuta il dialogo.
Noi dobbiamo affermare che nella dimensione della convivenza civile il metodo è il dialogo aperto e leale con la ripulsa di ogni dogmatismo che incatena l’umanità ed esclude il raggiungimento del bene e del progresso dell’umana famiglia.
Il Progetto ci fu consegnato dai nostri illuminati progenitori:
Libertà, Uguaglianza, Fraternità.
* * *
Dario Seglie
2 Agosto 2008
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Le culture umane espresse e presenti nel mondo sono gli ambiti entro i quali si svolge il divenire dell’identità delle persone e dei popoli, col riconoscimento esplicito delle differenze, delle inclusioni, dell’equiparazione culturale che non ammette gerarchie o supremazie.
Un quadro di riferimento legislativo emerge, a livello continentale, dall’art. 22 della “Costituzione” europea che esige il rispetto delle diversità linguistiche, religiose e culturali. E’ questo un quadro dinamico, flessibile e differenziato, che coglie positivamente il dato dello scambio e della comunicazione tra le culture, la cui molteplicità e diversità è una ricchezza per tutti tramite la salvaguardia delle differenti identità.
In questa prospettiva la laicità si coniuga con il relativismo, che connota la democrazia nel suo insieme, proprio al fine di garantire al massimo le fedi e i valori propugnati dai singoli.
In senso interculturale, relativistico, la laicità è effettivamente un profilo fondamentale della forma dello Stato pluralista come principio supremo dell’ordinamento costituzionale per una società in cui convivano pacificamente fedi, religioni, culture diverse.
Laico e liberale sono forse i termini maggiormente mistificati e distorti oggi. A parole sono tutti laici e liberali, anche se si schierano contro la ricerca scientifica sulle cellule embrionali, contro le unioni civili fra persone dello stesso sesso, o che stilino manifesti anti-relativisti e pro Occidente.
Eppure è impossibile essere laici e liberali senza essere relativisti. Non solo: la posizione di un relativista e di un non-relativista, di un laico e di un non-laico non sono paritetiche, bensì sono “asimmetriche”.
Il relativismo è il primo grande distinguo che la teoria della falsificabilità di Karl Popper ci permette di compiere riguardo all’ assoluto; la stessa locuzione “relativismo assoluto” è un ossimoro, una contraddizione logica non applicabile al concetto di cui parliamo. Invece, attraverso il criterio di falsificazione, il relativismo elabora l’idea che sia impossibile ottenere e/o detenere la verità assoluta e perpetua (intesa come verità scientifica; non ci interessa qui la verità ontologica o verità della verità), e non perché essa non possa esistere oggettivamente in sé; ma l’impossibilità è causata dalla fallibilità (metodologica oltre che storica) dell’uomo e deve essere sottoposta al controllo critico che ne stabilisce la – provvisoria – validità/veridicità.
Risulta ora chiaro perché il relativismo sia l’impianto metodologico fondamentale delle democrazie moderne: esso non determina una verità in sé e per sé, e pertanto, di conseguenza, -quindi- legittima il dissenso, cioè l’opinione diversa.
Questa è la premessa per tradurre lo Stato di diritto liberal-democratico in valori politico-sociali quali: libertà di coscienza, di espressione ed azione, auto-limitazione dei diritti, pluralismo etico, tutela delle minoranze, laicità delle istituzioni. Questi valori hanno la prerogativa di consentire la convivenza di tutti gli altri valori. Ecco che, di nuovo, emerge un’asimmetria: quella fra un relativista e un non-relativista, fra un laico e un non laico, fra un democratico e un anti-democratico. Volendo dare un nome a questa “prerogativa asimmetrizzante”, potremmo chiamarla “tolleranza” (la cui antitesi è l’estremismo, il fanatismo, il fariseismo, l’etnocentrismo, il terrorismo).
Gli “anti-relativisti” cadono, inequivocabilmente ma scientemente, in contraddizione affermando l’accettazione del sistema democratico: è un dato di fatto che, se si danno per buoni gli istituti e i valori dello Stato moderno, si accetta anche la metodologia relativista e, al rovescio, se si attacca il relativismo si attacca anche lo Stato moderno.
Democrazia e relativismo sono inscindibili.
Laicità non è anticlericalismo; ci possono essere protestanti, cattolici, diversamente credenti, agnostici e laici che credono tutti in qualche cosa di trascendente. La questione è la separazione tra Chiese e Stati, tra etiche e norme, per assicurare uno spazio comune di cittadinanza per tutti con la garanzia che nessuno invada il campo dei diritti personali umani intangibili.
I laici sono deboli perché sono dispersi nel corpo della società e non valorizzano quelle che sono le loro posizioni fondamentali: la lotta per l'uguaglianza, per la giustizia sociale, per la dignità della persona, azioni che –al più- fanno solo con voce flebile.
Manca un coraggio progettuale nelle nostre officine, nei nostri laboratori: il punto non è di alzare barricate ma di riconoscere che non c'è bisogno di importare i valori dall'esterno, di farseli prestare dalle Chiese, e che viceversa c'è una grande tradizione sociale, antropologica, filosofica, etica da mettere in campo, da affermare con autorevolezza, sicurezza e potenza.
Ormai ciascuno tende a cucinare da sé, o in piccoli conclavi, i propri ideali, indotti dall’omologazione di massa e da opinion leader asserviti a centri di potere disumani. In questo senso c'è allora il problema di come poter rilanciare il fronte laico, il pensiero libero, aconfessionale, presentando delle forti battaglie civili liberali in alternativa alla attuale rassegnazione dalla testa bassa e dalla schiena curva.
I laici hanno valori forti perché giusti, paradigmi che non devono importare da nessuno; basta che li rinverdiscano e li adottino con urgenza e con orgoglio.
Il problema non è il contrasto (sbandierato ma inesistente) tra fede e ragione, il contrasto è tra chi dialoga e chi ottusamente o scientemente si nega a questo ragionare, si chiude, si appoggia al dogma e rifiuta il dialogo.
Noi dobbiamo affermare che nella dimensione della convivenza civile il metodo è il dialogo aperto e leale con la ripulsa di ogni dogmatismo che incatena l’umanità ed esclude il raggiungimento del bene e del progresso dell’umana famiglia.
Il Progetto ci fu consegnato dai nostri illuminati progenitori:
Libertà, Uguaglianza, Fraternità.
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Dario Seglie
2 Agosto 2008
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