Alberto Pasolini Zanelli
Che l’America sia
di malumore lo sappiamo da un pezzo. Tutti, non soltanto gli americani, che
d’abitudine delle magagne che li riguardano sono piuttosto abituati ad
accorgersene per ultimi; e questa è una delle loro forze. Hanno dato da tempo,
alla loro convinzione profonda, un nome forse un po’ euforico ma anche poetico:
American Dream, il Sogno Americano. Ce n’erano di vario tipo, naturalmente:
quello di chi si sente portatore di un mondo nuovo, di ideali che mai l’umanità
aveva assaggiato prima. Chi in termini religiosi parla e canta, del Paese
benedetto da Dio, chi si sente addirittura seduto alla destra del Creatore. E
chi coltiva sogni modesti, umili, impersonati proprio di questi giorni da
quelle mamme centroamericane che, prive di visto per gli Usa, mandano avanti i
figli bambini che diventino loro “illegali” intanto e poi sognano di
raggiungerli. Il Sogno Americano è stato seminato dai Padri Pellegrini, ora è
tenuto vivo con più intensità dai Figli Pellegrini. In tutte le sue forme,
nelle sue varietà spaziali e temporali l’American Dream si basa però, o si
basava, su due convinzioni molto concrete: che l’America è il Numero Uno e che
lo resterà per sempre, perché “cresce” più velocemente di ogni altro Paese.
Ma è proprio questa
convinzione, questa fede soprattutto materiale, che si sta incrinando, non solo
a causa di un momento economico non felice come gli altri (anche se l’America e
il mondo hanno vissuto altri tempi di recessione) ma anche perché, più o meno
all’improvviso, la gente ne prende coscienza, magari in misura esagerata e si
dedica a uno sport finora non praticato da queste parti: il paragone con gli
altri insidiato dal dubbio e da un principio di invidia. Non c’è bisogno di
essere acuti interpreti degli umori della gente per scoprirlo: lo dicono, con regolarità
e credibilità, le onnipresenti statistiche, i venerati sondaggi. Risposte plebiscitarie
accompagnano ora una domanda che incide nel cuore del Sogno Americano: la
fiducia che comunque “i nostri figli vivranno meglio di noi”. La risposta era di
solito plebiscitaria. E lo è anche adesso, ma in senso opposto. A quella
domanda solo un americano su cinque risponde ora positivamente, tre su quattro
si dicono sicuri di no, che i loro figli staranno peggio. Come scatto di
malumore è di dimensioni mai raggiunte prima. All’inizio del nuovo secolo la
maggioranza dei cittadini Usa nutriva fiducia. Oggi il segno si è capovolto e,
quasi a smentire le osservazioni preoccupate di chi denuncia la crescente
diseguaglianza materiale fra le diverse classi sociali, alla domanda rispondono
tutti allo stesso modo: i ricchi come i poveri (rispettivamente il 75 e il 73
per cento), le donne come gli uomini, i repubblicani come i democratici, i
giovani come gli anziani. E addirittura i bianchi più dei neri, con una piccola
eccezione per gli ispanici, a conferma che i sogni più tenaci sono quelli che
si fanno a distanza.
Fin qui le cifre
del mugugno. Ma a confermarle arrivano i dati delle statistiche comparate.
Ultima quelle dell’Indice del Progresso Sociale, che mostra come in molti Paesi
a un reddito pro capite pari o anche leggermente inferiore a quello americano la
gente viva meglio. Gli Stati Uniti compaiono al trentunesimo posto per la
sicurezza nazionale, al trentaquattresimo per il livello generale di cultura,
al settantesimo per la salute. In testa ci sono come al solito Norvegia,
Olanda, Islanda, Svizzera, Canada e poi Giappone, Germania, Gran Bretagna ma
anche nazioni a sorpresa. Per esempio l’Irlanda, per oltre un secolo serbatoio
dell’immigrazione di massa in America e che oggi si piazza quindicesima davanti
agli Usa che sono al diciannovesimo posto. La sorpresa più sorprendente, poi,
riguarda la cosa più americana del mondo, l’Internet: i cittadini Usa hanno
meno accesso alla rete e ai cellulari rispetto agli abitanti di ben ventidue
Paesi. Se ne avessero voglia, naturalmente, gli americani potrebbero consolarsi
constatando quanto meglio fanno nazioni come la Russia, quanto grande è la
loro supremazia in campo militare. Ma per i meglio informati: l’economia
americana nel suo complesso è cresciuta negli ultimi anni più in fretta di
quella francese, però il 99 per cento dei francesi ha progredito in termini di
tenore di vita più del 99 per cento degli americani. La Francia non è il Paese più
amato da questa parte dell’Atlantico. E l’economista più di moda oggi, Thomas
Piketty, è francese. E a raccogliere le testimonianze sul malumore americano è
uno studioso di nome Yang.