Alberto Pasolini Zanelli
“L’epoca delle
guerre è finita”. Lo affermò Barack Obama, rieletto alla Casa Bianca e
insignito del Premio Nobel per la pace. Parole nobili e generose, ma tutt’altro
che profetiche. Lo si deve constatare per l’ennesima volta in queste ore in cui
dalla Casa Bianca giungono annunci dell’apertura di un nuovo fronte di un
conflitto che scavalca sempre nuove frontiere e si estende con una voracità che
pare ispirata alla memoria centenaria della Prima Guerra Mondiale di cent’anni fa. Se il presidente Usa si sta
rimangiando quel suo auspicio non è certo con entusiasmo bensì con riluttanza
estrema. Vi è costretto. Lo è stato quando ha ordinato il bombardamento delle
pendici della montagna su cui stava per consumarsi il sacrificio rituale di
centinaia di innocenti perseguitati per la fede eretica dei loro genitori e le
bombe Usa sui persecutori li hanno salvati. Come vendetta i fanatici del
Califfato hanno sgozzato un civile americano e “chiamano” di conseguenza una
rappresaglia sulle basi irachene di questa confraternita armata.
Il Califfato, lo
sanno ormai tutti, si estende dall’Irak alla Siria. E proprio in Siria quel
delitto è stato compiuto. Fra i due Paesi, retti un tempo da dittatori “laici”,
non esistono più frontiere, il quartier generale è semmai il territorio siriano
e dunque non avrebbe senso militare riconoscere un confine cancellato dai
fatti. Pare imminente una nuova ondata di incursioni aeree, invocate ormai
anche dai generali del Pentagono, tradizionalmente e saggiamente gli ultimi a
spingere per una guerra. A Damasco, probabilmente, non la pensano così, anche
se in teoria e in base al vecchio detto “il nemico del mio nemico è mio amico”,
il regime dovrebbe sentirsi confortato dalla caduta di qualche bomba sul suo più
accanito avversario in una guerra civile che dura ormai da tre anni e ha già
fatto, secondo le cifre ufficiali, oltre 190mila morti.
Ma tale non è
l’intenzione dei “falchi” di Washington e altrove, che fin dal primo giorno di
scontri a Damasco e dintorni insistono per un massiccio intervento occidentale
in favore dei “ribelli” contro la dittatura di Assad, anche se nel frattempo si
è visto che i più agguerriti fra i “combattenti per la libertà” sono i
tagliagole di una setta che è stata recentemente espulsa dalla “grande tenda”
di Al Qaida e del suo estremismo. E dunque probabile che la Siria diventerà o rimarrà
uno dei fronti principali di questa guerra dai tanti fronti. Quello di Libia
fra le bande fiorite sulle macerie del regime di Gheddafi, rovesciato con il contributo
determinante dell’Occidente. Quello dell’Egitto, sconvolto in un paio d’anni da
due rivoluzioni, due dittature e un periodo di potere degli estremisti
islamici. Quello di Gaza, di cui conosciamo le cronache anche minute e quasi
l’anagrafe delle vittime e dei caduti, molti guerriglieri del terrore e tanti
bambini. Quello dell’Irak e della Siria. Quello che di conseguenza si sta
disegnando nel Libano e minaccia di estendersi alla Giordania.
Questo nel Medio
Oriente. E in Europa? Le tensioni si stanno aggravando una volta di più in
Ucraina. Dopo il “golpe di piazza” che abbatté un governo filorusso, dopo il
controgolpe che riportò la
Crimea nella sfera di potere di Mosca, dopo la rivolta dell’Ucraina
Orientale e la creazione di un vero e proprio fronte bellico e l’esplosione di
una “guerra economica” centrata sulle sanzioni punitive dell’Occidente contro la Russia, ora sembra
delinearsi un ambiguo intervento militare di Mosca, nella forma di un massiccio
afflusso di “aiuti umanitari” di Putin: convogli della Croce Rossa simili a
colonne di Panzeri. E c’è, soprattutto in America, una forte spinta a un
intervento diretto che riaprirebbe, anche ufficialmente, quella Guerra Fredda di
cui l’Europa, si era liberato un quarto di secolo faa. No, il tempo delle
guerre non è proprio passato e neanche l’eventualità che gli europei vi vengano
di nuovo coinvolti. I falchi esistono anche da questa parte dell’Atlantico ed
esiste anche la controparte. Primo suo portavoce il premier finlandese che ha chiarito che
l’Ue non ha doveri militari al di là delle sue frontiere. Forse si ricordava di
una canzone satirica che fu popolare nel suo Paese proprio negli anni della
Prima Guerra Mondiale: “Saksa, Ranska, Itaria, Ritannia…”. Germania, Francia, Italia,
Gran Bretagna. La filastrocca non nomina la Russia: ma solo perché la Finlandia a quei tempi
ne faceva parte.