Gianni Celletti
A fronte di una evidente crisi della nostra classe
politica, la prepotente venuta alla ribalta del giovane Matteo Renzi, con la
sua “coraggiosa” decisione di nominare ministri del suo Governo ben 8 donne su
16 (50%) (peccato, però, che esse siano, poi, quasi inesistenti nella pletora
dei viceministri e sottosegretari), ha fatto maturare in molta opinione
pubblica l’idea che la causa debba essere individuata nell’età e nel sesso dei
nostri governanti: non più “vecchi” e “uomini”, ma “giovani” e “donne”. E’ di
Venanzio Postiglione, dell’autorevole “Corriere”, ad esempio, la recente
proposta di ridurre l’età minima oggi prevista per essere eletti Presidente
della Repubblica, auspicando pure che il prossimo eletto sia donna.
E’ bene ricordare, innanzi tutto, che la nostra è una Costituzione
d’emergenza, frutto – a quei difficili tempi - di necessari compromessi fra le
due forze politiche emergenti: democristiani e socialcomunisti (esigua la
partecipazione di una “sparpagliata” terza forza laica, concorde solo nei
principi fondamentali della democrazia, e neppure tutti). Questi, già uniti da
un patto d’azione, che nel ’48 si concretizzerà con una lista unica, Fronte
Popolare, vanno correttamente considerati alla stessa stregua. Ad ogni
buon conto, all’Assemblea Costituente del 1946, comunisti e socialisti, con
liste autonome, disponevano di ben 219 rappresentanti ufficiali, quasi il 40%
dell’immaturo elettorato italiano che per la prima volta, dopo 25 anni (per le
donne fu un esordio in assoluto), si presentava a regolari elezioni. E’
corretto aggiungere non pochi democristiani – già partito di maggioranza
relativa con 207 eletti – che facevano parte della sinistrorsa corrente
dossettiana, e pure altri di formazioni non ben definite, che però rivelarono
la loro ideologia paracomunista al momento dell’approvazione di articoli
basilari della nuova Carta costituzionale.
Se l’età del Presidente della Repubblica non comportasse una
modifica costituzionale, o non esistesse la necessità di modifiche ben più
importanti a questa vecchia Carta, che sempre più si rivela un intralcio per
governare un Paese moderno (altro che “la più bella Costituzione del mondo”),
si potrebbe anche proporre l’abbassamento; ma, viste le lungaggini con cui si
cerca di approntare alcune altre fondamentali riforme, sinceramente non credo
ne valga la pena.
E’
perlomeno puerile, poi - a me
sembra –, voler stabilire per decreto un pari
impiego di donne e uomini, senza tener conto che l’inserimento della donna
nella società civile sconta, purtroppo, un importante equivoco, che è alla base
della sua travagliata emancipazione. Questo equivoco consiste nel voler
scambiare la “pari opportunità” con l’insinuante cattiva traduzione del
principio di égalité che i neofiti della democrazia hanno preso a
prestito dalla Rivoluzione Francese. Ora, è dimostrato scientificamente
che donna e uomo posseggono – naturalmente e a livello di propensioni -
peculiarità diverse, alcune assolutamente non scambiabili (la più macroscopica
è la procreazione: il maschio la determina e la femmina la produce) e altre,
invece, che possono svilupparsi comunemente, pur appartenendo “naturalmente”
all’uno o all’altro sesso. Mentre all’uomo è sempre stata offerta la
possibilità di misurarsi in attività che “appartengono” alla donna, questa ha
sempre dovuto accettare, piuttosto, mestieri e mansioni non più “graditi”
dall’uomo. Il Paese che veniva citato all’avanguardia nel riconoscere
l’emancipazione della donna, l’ex Unione Sovietica, è stato un esempio molto
significativo: la donna era adibita a mansioni un tempo prettamente maschili,
come quella di guidare gli autobus, ad esempio, o di sostituire l’uomo in
attività di fatica, ma nei Soviet Supremo la percentuale femminile
difficilmente superava 1/3, mentre nessuna donna ha mai fatto parte del Presidium
del Consiglio dei Ministri, i cui membri erano sempre 13 uomini.
Il
problema, dunque, andrebbe risolto con maggiore serenità – e obiettività – e
senza demagogia. E senza voler pensare che chi sceglie – tuttora l’uomo – sia
spinto, non di rado, da motivazioni opportunistiche oltre che populiste.
Sarebbe più saggio, dunque, attenersi alla regola – che non dovrebbe avere
sesso – delle “pari opportunità” e non già a quella della parità a dispetto…
dei Santi!
Gianni Celletti