Alberto Pasolini Zanelli
In Ucraina, adesso,
si parla tedesco. Con l’inconfondibile accento di Angela Merkel, che oltre a
tutto è l’unico capo di Stato dell’Occidente in grado di esprimersi
correntemente nel russo che ha imparato in decine di anni di occupazione
sovietica della Germania Orientale. È vero che anche Vladimir Putin, per anni
esponente locale degli occupanti, si esprime correntemente nell’idioma
germanico, anche nel recentissimo incontro bilaterale; però quello che trapela,
o viene fatto trapelare, di questo “vertice” emerge che la voce dominante è
stata quella di Berlino e non di Mosca. E per un paio di motivi, il principale
dei quali è che la
Cancelliera ha messo sul tavolo un bel mazzetto di euro, come
carburante per una serie di proposte che assomigliano molto a un tentativo di
mediazione. Che ha il pieno appoggio degli Stati Uniti: Obama sembra deciso,
almeno in questa fase della crisi, a ritirarsi dietro un paravento e a
incaricare i tedeschi di condurre il gioco diplomatico. In proprio e anche,
almeno ufficialmente, a nome dell’intera Unione europea.
Non tutti i soci sono
egualmente disposti a pagare le spese delle complesse transazioni, ma gli euro
pare ce li metta soprattutto Berlino: un po’ più di 600 milioni come contributo
alla ricostruzione delle aree dell’Ucraina orientale danneggiate dai
combattimenti. Con una condizione piuttosto chiara: il riconoscimento che
iniziative solamente militari non possono risolvere la crisi. Questo consiglio è
soprattutto rivolto agli ucraini, che sui terreni dello scontro sembrano godere
in questo momento di un vantaggio e comunque prendono la maggior parte delle
iniziative. A parole sono i russi a dimostrare adesso buona volontà, anche se senza
rinunciare interamente a mosse sul terreno di battaglia.
I motivi di questo
cambio di strategia possono essere in parte suggeriti da una momentanea
debolezza ma soprattutto da una nuova strategia, che consisterebbe nel rinunciare
a tentativi di offensiva su vasta scala e mantenere invece “punture di spillo” di
dimensioni ridotte e strettamente locali. Gli esperti definiscono tale progetto
“guerra ibrida”, che non è stata ancora interrotta, ma è più vicina a un
eventuale “cessate il fuoco”. Una gran voglia di combattere non si vede in
queste ore sui due lati del “fronte”. Sono rientrati quasi tutti i “camion” dei
soccorsi umanitari russi; ne è rimasto qualcuno in modo da mantenere punti di
appoggio. Quanto alle zone tuttora in mano ai secessionisti, sono gli ucraini ora
ad attaccare, senza però spingere proprio a fondo. Da ambo le parti si
registrano episodi significativi o almeno curiosi: alcuni paracadutisti russi
sono stati intercettati e catturati: si sono scusati dicendo di avere
semplicemente sbagliato strada. Un po’ più a Nord un forte reparto ucraino è
stato attaccato, ma i soldati, invece di resistere, hanno proposto ed ottenuto
dal comandante una ritirata strategica.
Siamo lontani, pare,
dalla furia che ha accompagnato le prime fasi delle ostilità, ma più simili,
semmai, agli episodi che avevano contrassegnato, non molto prima, la
penetrazione russa in Crimea. Gli uni e gli altri, peraltro, non rinunciano alle
ipotesi di ottenere o mantenere il controllo dell’area più meridionale del
“fronte”. Da parte russa emerge l’intenzione di mantenere aperta, anche durante
la fase delle trattative, una alternativa geografica all’asse attuale dei combattimenti
attorno all’area del Donbass. L’alternativa è in direzione della città costiera
di Mariupol, sul mare di Azov, come punto di partenza di un collegamento
terrestre con la Crimea. Si
tratta probabilmente di manovre diversive: su un piano più generale i russi
paiono in questi giorni piuttosto in ritirata e gli ucraini si sforzano di
accumulare in questi giorni il maggior terreno possibile di quello perduto
nelle fasi inaugurali dell’insurrezione dell’Ucraina orientale. Qui si
inseriscono i consigli della signora Merkel, che sono appunto molto chiari: che
il governo di Kiev non si illuda di potere piegare i dissidenti con il solo uso
della forza. L’obiettivo rimane una trattativa, magari lunga, ma che attutisca
gradualmente le tensioni e sposti il tema centrale sulla necessità di risarcire
i danni mediante anche generosi interventi finanziari dell’Europa. Una “linea”
emersa chiaramente dai colloqui della Cancelliera con il primo ministro ucraino
Poroshenko.