Alberto
Pasolini Zanelli
I bambini russi
rischiano di andare a letto senza frutta. In Occidente era un castigo comminato
ai più turbolenti e capricciosi, quelli che si rifiutavano di mangiare
cavolfiore o broccoli e venivano indotti all’obbedienza dalla minaccia di
essere privati, in tal caso, dell’uva o delle albicocche. Nell’Unione Sovietica
il problema si poneva in altro modo: come sempre a limitare i consumi era in
primo luogo la loro scarsità. Nella Russia liberata dal comunismo il desco
quotidiano rischia di diventare una mappa di una battaglia globale e il menu un
elenco di armi cedute o strappate al Nemico.
La decisione,
almeno formalmente, è di Vladimir Putin e non sorprende poi tanto: Mosca è
sottoposta a sanzioni commerciali sempre più dure, in risposta all’andamento
delle operazioni militari in Ucraina. Oltre che le linee di marcia dei
reggimenti e delle formazioni partigiane, gli Stati maggiori di Washington e
delle capitali alleate e associate compilano da tempo dei menu, colpiscono
soprattutto l’economia e la finanza, in modo più vistoso l’energia, mirano a
colpire esportazioni ed importazioni, cercando di indovinare in quale punto le
misure fanno più male. Era inevitabile che Putin ricorresse alle rappresaglie.
Meno scontato era che scegliesse quelle che a lunga scadenza potranno
danneggiare l’Occidente ma nell’immediato saranno “pagate” dai cittadini russi,
consumatori e soprattutto commensali. La lista di proscrizione non è ancora
completa, ma gli elenchi parziali danno già un’idea. Il bersaglio psicologico
della contromossa dovrebbe essere l’America, ma appare inevitabile che a fare
le spese sia soprattutto l’Europa. Mancheranno sui banchetti di Sanpietroburgo,
di Vladivostock, di Brianks. A soffrirne meno dovrebbe essere, altro dettaglio
paradossale, proprio la Crimea, causa prima della piccola Guerra Fredda in
corso ma ben fornita dal clima mite di prodotti alimentari ricercati.
L’elenco delle
“vittime” include però generi pregiati come i formaggi francesi, i polli
americani, le bistecche australiane, il whiskey scozzese. Ma i più colpiti
saranno i Paesi dell’Europa meridionale, fra cui l’Italia, che nell’ultimo
ventennio hanno preso a rifornire la Russia di quello che più le manca. Del
resto queste esclusioni sono dichiaratamente di ritorsione e non possono
riferirsi che ai generi esportabili, non al petrolio o al gas naturale con cui
l’industria italiana si disseta, con maggiore o minore efficacia e subendone
contraccolpi di varia misura. Il fronte delle sanzioni è molto ampio:
comprende, oltre agli Stati Uniti e alle ventotto nazioni dell’Unione europea,
Paesi come il Giappone, l’Australia, il Canada e, ovviamente, l’Ucraina. Le
importazioni agricole dagli Usa assommano a un miliardo di dollari l’anno,
quelle dall’Europa salgono a ben 15 miliardi. Sulle mense russe alcuni cibi
saranno più rari, molti altri sostanzialmente più cari. Dato che le misure
“autarchiche” sono decise dal Cremlino, Putin non dovrebbe attendersi simpatia
e gratitudine da parte dei suoi concittadini, il cui tenore di vita è
considerevolmente migliorato da quando egli è al potere, rispetto alle
proverbiali strette di cinta sovietiche e agli anni caotici del riformatore
Eltsin.
È questo uno dei
due pilastri dell’intesa e finora crescente popolarità del capo del Cremlino
(l’altra è un’intensa ondata di orgoglio patriottico e nazionalista), sia nei
ceti urbani, che godono ora di una varietà senza precedenti di cibi di
importazione, sia delle aree rurali che “nutrono” di consensi il “putinismo”. A
loro già si rivolge la propaganda con la previsione che la riduzione delle
importazioni porterà a “rivitalizzare l’agricoltura russa”, mentre è ovvio che
per prima cosa ciò danneggerà i consumatori. Alla lunga, però, il Cremlino
conta su altre misure in preparazione: a cominciare dalla ventilata chiusura di
rotte nello spazio aereo russo per le compagnie dei Paesi che partecipano alle
sanzioni, europee, americane o asiatiche. A ventilare questa minaccia è proprio
il ministro degli Esteri Lavrov, che già si dice preoccupato per eventuali
conseguenze negative sui normali cittadini di vari Paesi che non hanno alcuna
responsabilità per gli eventi in Ucraina. “Mi auguro che i nostri partner
occidentali ne tengano conto”. Promessa o minaccia? Il lessico della Guerra
Fredda consiste anche di tali ambiguità.