Maurizio Belpietro per “Libero Quotidiano”
valigie abbandonate a fiumicino
Ho
la fortuna di viaggiare spesso e di passare da una città all’altra
quasi sempre in aereo. Negli ultimi giorni però ho la sfortuna di
incappare nelle assemblee sindacali dei dipendenti Alitalia e di aver
scoperto l’esistenza di bagagisti e scalisti. Se ho deciso di scriverne
non è però per fatto personale, ma per essere stato testimone dei disagi
di migliaia di passeggeri, i quali, in partenza per le vacanze o per
lavoro, hanno dovuto fare i conti con l’agitazione dei lavoratori di
quella che un tempo era considerata la compagnia di bandiera.
Ciò
che sta succedendo in Alitalia è noto. Dopo anni di eccessi e di
cattive abitudini, la società è costretta a fare i conti con la realtà e
dunque con le perdite di bilancio. Fino a che c’era lo Stato, e non
c’era l’Europa a dettare le regole anche per quanto riguarda gli aiuti
pubblici, la gestione del vettore nazionale non era un problema. Ogni
anno si perdeva una montagna di quattrini, si accumulavano ritardi e
inefficienze, ma alla fine il governo ripianava a piè di lista tramite
l’Iri.
Col
tempo l’Alitalia era diventata un grande carrozzone, al pari delle
Ferrovie e delle Poste, dove si veniva assunti perché raccomandati e non
perché ce n’era bisogno. Credo che anche per la compagnia valesse la
regola del quattro citata da Enzo Biagi a proposito della Rai: se c’era
da assumere qualcuno, il primo era un tizio raccomandato dai
democristiani, il secondo uno sostenuto dai socialisti, il terzo voluto
dai comunisti. Se poi c’era la possibilità se ne assumeva anche uno
bravo. Così, in Rai come altrove, gli organici delle Partecipazioni
statali e delle pubbliche amministrazioni sono stati imbottiti di
personale e la compagnia nazionale non fa differenza. Arrivata la crisi,
la differenza l’hanno però fatta i bilanci e quando lo Stato ha deciso
di uscire perché costretto dalle regole europee, trovare un pretendente
disposto a comprarsi la società non è stato facile, anche perché l’unico
disponibile - Air France - fu fatto fuggire dalla Cgil.
Alla
fine, come è noto, il governo rintracciò una dozzina di imprenditori
disposti a investire, ma non senza che prima la compagnia fosse
alleggerita da una zavorra di milioni di debiti e non senza che 4 mila
dipendenti fossero collocati sulle spalle del bilancio pubblico per
sette lunghi anni. Doveva essere la soluzione di un caso di scuola per
studiare un disastro annunciato. E invece no, perché sei anni dopo
rieccoci alle prese con i debiti, gli esuberi e le garanzie sindacali di
Alitalia.
Altro
giro, altra corsa. Soprattutto, altre agevolazioni a carico dei
contribuenti italiani, perché migliaia di persone saranno messe in cassa
integrazione. Già questo dovrebbe indurre i dipendenti della compagnia a
ringraziare, perché per altri lavoratori - pensiamo ai precari ma anche
a chi lavora in una piccola azienda - al momento del licenziamento non
sono stati usati gli stessi guanti di velluto. E invece no. I dipendenti
non sono contenti.
A bagagisti, scalisti e
addetti vari l’accordo non va giù e dunque per protestare non hanno
trovato di meglio che inventarsi assemblee spontanee, lasciando a terra i
passeggeri o addirittura abbandonandoli a bordo di un aereo per ore.
C’è chi è stato costretto ad attendere per sbarcare a causa della
mancanza della scala, chi per la medesima ragione non è riuscito a
salire a bordo. Chi, pur essendo stato imbarcato, non è potuto partire
perché nessuno si decideva a togliere la scala. Altri ancora hanno
invece dovuto aspettare i bagagli, in seguito alla mancanza del
personale incaricato di occuparsi di valigie e passeggini, perché
naturalmente nessuno può sostituirsi agli addetti titolari del gravoso
incarico.
Risultato:
ore di attesa, ritardi enormi per tutto il traffico aereo nazionale e
internazionale, migliaia di persone abbandonate a se stesse e costrette a
bivaccare negli scali. Non starò naturalmente a dire le solite cose e
cioè che i treni come gli aerei sono un servizio pubblico e chi
interrompe un servizio pubblico fa un grave danno alla collettività e
dunque va sanzionato. Il diritto di sciopero si interrompe infatti là
dove vìola i diritti dei cittadini, i quali senza dubbio hanno il
diritto di non essere sequestrati a bordo di un aereo solo perché
qualche decina di persone ha deciso di astenersi dal lavoro.
Non
starò a dire nemmeno che lo sciopero selvaggio va punito, perché è
ovvio che questo deve avvenire ed è altrettanto pacifico che in Italia
anche ciò che è ovvio non accade. Gli scioperanti dunque non subiranno
alcun danno, mentre i danni li patisce chi è in viaggio, il quale non ha
alcuna arma per difendersi né per essere risarcito.
Ciò
nonostante, benché sia noto che il garante anti sciopero selvaggio non
garantisce un bel niente, vorrei ricordare che anni fa ci fu un
presidente degli Stati Uniti che di fronte a una protesta simile a
quella registrata in questi giorni reagì licenziando tutti e sostituendo
il personale che incrociava le braccia con dei militari. Altri tempi e
altro Paese, si dirà. Vero. Ma soprattutto quello era Ronald Reagan,
mica Matteo Renzi o Giorgio Napolitano.