Quanto costa all’Europa la guerra commerciale USA-Cina
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero
I negoziati commerciali fra Cina e Stati Uniti sono finiti senza un accordo. Gli Stati Uniti applicheranno quindi una tariffa del 25% su 200 miliardi di importazioni dalla Cina, mentre il Presidente Trump ha dichiarato l’intenzione di estendere la stessa misura praticamente a tutte le merci provenienti dal Celeste Impero.
Tra le decisioni prese e quelle programmate si tratta quindi del proseguimento di un conflitto che inverte le tendenze del commercio internazionale degli ultimi decenni. Decisioni che comportano conseguenze fortemente negative non solo nei rapporti fra i due paesi ma per tutta l’economia mondiale.
Solo le dichiarazioni di Trump e di Xi, concordi nell’affermare che i loro rapporti personali rimangono buoni e improntati ad una volontà costruttiva, hanno impedito il tracollo dei mercati finanziari mondiali.
Un tracollo che entrambi i paesi hanno interesse ad evitare ma che sarebbe probabilmente avvenuto se il fallimento dei negoziati commerciali fosse stato accompagnato da dichiarazioni di personale ostilità.
Adesso si attendono le contromisure cinesi che già erano state preannunciate nel caso di fallimento dei negoziati. Contromisure che non potranno avere effetti quantitativi equivalenti, dato che le esportazioni americane verso la Cina sono molto inferiori alle importazioni dalla Cina, ma che saranno certamente indirizzate verso i settori politicamente sensibili, come l’agricoltura, anche perché gli esportatori agricoli americani sono concentrati in alcuni stati particolarmente importanti per la rielezione di Trump.
Si ripeterà perciò quanto avvenuto in passato: il governo americano ha infatti già versato un poderoso sussidio di 12 miliardi di dollari per compensare gli agricoltori danneggiati dal crollo del prezzo della soia in conseguenza dell’applicazione di precedenti dazi da parte cinese.
Difficile naturalmente prevedere gli sviluppi ulteriori di questa guerra commerciale anche se già da ora essa inciderà negativamente sulla crescita mondiale, che è stata, negli scorsi anni, trascinata dallo sviluppo del commercio internazionale. Per quanto riguarda l’Europa si aggiunge il fatto che, maggiori saranno gli ostacoli al flusso dei beni cinesi verso gli Stati Uniti, maggiori saranno le pressioni cinesi nei confronti dei mercati europei.
È vero che, in teoria, le nostre imprese avrebbero la possibilità di sostituirsi ai cinesi nel mercato americano ma un’analisi più approfondita ci dice che le produzioni europee sono assai diverse da quelle che costituiscono i flussi commerciali fra la Cina e gli Stati Uniti.
Con queste nuove tensioni si stanno quindi producendo mutamenti che esigono un accurato approfondimento sulle possibili conseguenze nei confronti dei futuri rapporti fra Unione Europea e Cina.
Anche se la guerra commerciale è già cominciata nessuno può tuttavia prevederne con certezza le evoluzioni, soprattutto se e quando le sanzioni americane finiranno col colpire i beni prodotti in Cina dalle multinazionali americane, prodotti che costituiscono una parte fondamentale delle esportazioni cinesi, sia che si tratti di beni privi di speciali caratteristiche tecnologiche, come le scarpe da Jogging, sia che si tratti di prodotti tecnologicamente raffinati, come gli smartphone.
È invece già certo che non ci troviamo coinvolti in una semplice guerra commerciale ma dinnanzi a un confronto fra due assetti istituzionali così diversi da potere essere resi tra di loro compatibili solo dopo un processo che appare sempre più lungo e difficile.
Restano infatti ancora sul tavolo le divergenze sulla proprietà intellettuale, sui rapporti fra il potere politico e il modo economico, sulle regole di risoluzione delle controversie giudiziarie, sui sussidi pubblici alle imprese e sull’imprevedibilità dei comportamenti del sistema bancario: si tratta di differenze sistemiche che non rendono impossibili i rapporti economici ma li rendono certamente più difficili.
Altrettanto importante è il capitolo della sfida tecnologica, soprattutto in settori così delicati come le telecomunicazioni o la sicurezza nazionale. Lo sforzo cinese verso l’indipendenza tecnologica sta infatti mettendo in crisi la consolidata e finora indiscussa superiorità americana nella creatività e nell’innovazione.
La guerra commerciale è quindi solo un aspetto particolare di una sfida per la supremazia che può essere portata avanti senza provocare tragedie solo attraverso un lungo esercizio di un saggio ma difficile autocontrollo.
Il fallimento del negoziato sul commercio non è certo un messaggio incoraggiante in questa direzione anche perché è il segno della prevalenza dei falchi sulle colombe in entrambi i paesi.
È bene perciò insistere sul fatto che è invece possibile una tollerabile convivenza fra diversi paesi anche in presenza di sostanziali differenze fra i diversi sistemi istituzionali. Differenze che, fra Stati Uniti e Cina, non sembrano tuttavia dare il segno né di scomparire né di attenuarsi.