Alberto Pasolini Zanelli
I computer dell’Iowa hanno ripreso
a funzionare. Quelli del New Hampshire hanno compiuto tutto il loro dovere. La campagna
presidenziale americana del 2020 si è messa in cammino anche con i numeri oltre
che con le parole. Dovrebbe avere per conseguenza un rincivilimento dei
linguaggi e dei metodi, che in questo momento sono ancora al livello di una guerra
nucleare orale. Eccellono in questo comportamento un presidente in carica e un
presidente della Camera. Donald Trump, naturalmente e, più insolitamente, Nancy
Pelosi. Nelle ultime ore lui ha scolpito una definizione di lei: “È una persona
orribile”. Parlava con ira, con un linguaggio basso e rabbioso, vendicativo,
generoso solo per la sua sincerità, concentrato di un’ira coltivata per mesi,
per tutto il tempo del procedimento di impeachment ma anche prima ed
esteso ai collaboratori della sua grande nemica, “attori di una caccia alle
streghe che cominciò nel momento in cui incontrai, scendendo da un ascensore,
la mia futura sposa”. Era il 2015 e Melania Trump scendeva da un ascensore
tutto d’oro. Erano in piedi invece sullo stesso palco quando hanno commentato,
l’altro giorno, l’esito della votazione che dovrebbe avere chiuso il problema e
la polemica ma che avevano esposto più con le occhiate e i gesti che con le
parole. Lui rifiutò di stringere la mano a lei, lei lacerò puntualmente e
ordinatamente i fogli dell’allocuzione di lui, che ne aveva fatto quello che
forse intendeva fosse un omaggio. Si erano sfogati? L’indomani ha spiegato di
no. È prevedibile che non si incontreranno mai più fino al primo martedì di
novembre, giorno delle elezioni. Lei, Nancy, non è candidata, essendo già stata
confermata; lui lo è e quasi tutti i sondaggi lo danno per rieletto per un
secondo quadriennio. Non sono i dati del caucus dell’Iowa né delle primarie del
New Hampshire, ma sondaggi fra gli elettori un po’ di tutta l’America. Portano delle
conferme, delle felici sorprese e soprattutto tristi delusioni. La prestazione
più sconfortante è quella di colui il quale era considerato il superfavorito prima
che all’apertura dei Giochi: l’ex vicepresidente Joe Biden, l’erede dell’amministrazione
di Barack Obama. È il preferito finora di 25 elettori su cento, preceduto dalla
sua “matura” concorrente Elizabeth Warren con il 51, da Bernie Sanders con il
44 e, questa la cosa più sorprendente, da un debuttante in politica nazionale Pete
Buttigieg, quarantenne, omosessuale dichiarato e anzi maritato. Quasi allo
stesso livello è un’altra novità, May Klobuchar. Si tratta solamente di due
Stati su cinquanta e l’America è grande e varia. Il prossimo appuntamento apre
il capitolo del Vecchio Sud, che non si attende che ripeta le proporzioni fra i
candidati emersi dal profondo Nord come l’Iowa e il New Hampshire, roccheforti di
due candidati, Warren e Biden che costituiscono l’ossatura della nuova ala
sinistra del Partito democratico, rafforzata anche dal debutto di due esponenti
collocabili nel centrosinistra Buttigieg e la Klobuchar. È probabile che la “notizia”
non sia sgradita alle gerarchie del Partito repubblicano, che si occupano
soprattutto degli elettori “moderati”, mentre Trump gestisce la destra e l’estrema
destra.
Lo confermano anche le opinioni
espresse nei sondaggi dai diversi candidati. Tutti i democratici si dichiarano
favorevoli a un’eventuale azione militare preventiva contro l’Iran o la Corea
del Nord. Quasi nessuno, invece, ha le stesse disponibilità, in caso di
bisogno, di stabilire una protezione militare alle vie del petrolio. Tutti,
tranne il giovane Buttigieg, promettono di mantenere l’attuale livello dell’aiuto
bellico a Israele. Nessuno ha voglia di continuare la diplomazia
superficialmente “affettuosa” con il dittatore nordcoreano, inaugurata da Trump.
Ma tutti, tranne Biden, ritengono necessario uno speciale ordine presidenziale
per autorizzare un attacco contro un altro Paese.