Italia: non si esce dalla paralisi senza scuola e ricerca
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 16 febbraio 2020
Succedono strane cose al mondo: mentre restano giustamente elevate le preoccupazioni per la diffusione del Coronavirus in Cina e ancora più si teme per le imprevedibili conseguenze che tale morbo produrrebbe se si espandesse verso l’India o verso l’Africa, le previsioni sulle sue conseguenze economiche sono assai meno allarmanti. Vengono messi giustamente in rilievo i generali e pesanti effetti negativi sui viaggi e sul turismo, si insiste sulle difficoltà nel sistema delle subforniture internazionali e sulle temporanee interruzioni della produzione cinese, ma le conclusioni della maggioranza degli esperti internazionali si orientano verso l’espressione “no debacle yet”. Non vi sarebbe cioè ancora nessun disastro generale in campo economico, anche se si sollevano ovviamente punti interrogativi riguardo al futuro.
I mercati finanziari si comportano in conseguenza e, dopo un calo iniziale, hanno dato segni di ripresa, arrivando fino ad attribuire un forse eccessivo rilievo alle conseguenze positive del calo dei prezzi del petrolio.
Il fatto che il Coronavirus sia considerato dagli analisti economici un evento grave, ma probabilmente temporaneo, ci deve tuttavia spingere ad essere cauti sull’andamento dell’economia mondiale, timorosi sulla crescita europea e ancora di più preoccupati sull’andamento dell’economia italiana.
Ben poco di nuovo sta quindi accadendo rispetto a quanto la globalizzazione ha prodotto negli ultimi dieci anni: i recenti protagonisti dell’economia mondiale continuano a crescere più in fretta, gli Stati Uniti se la cavano bene, l’Unione Europea arranca appesantita da decisioni sbagliate, mentre l’Italia viene stabilmente relegata all’ultimo posto dalla sua volubile e imprevedibile politica.
Il fatto che il nuovo governo si mantenga saldamente legato all’Europa ci garantisce tassi di interesse relativamente bassi, con ovvio beneficio per il bilancio pubblico. Tuttavia le tensioni tra i partiti che compongono la coalizione governativa impediscono di guardare al futuro con quell’atteggiamento positivo che è fondamento di ogni crescita economica. Nella situazione in cui ci troviamo i consumatori sono riluttanti a spendere, gli investitori diventano ancora più prudenti e gli operatori stranieri tendono a ritenere l’Italia un paese ancora più straniero.
Eppure penso che a tutto questo vi sia un possibile rimedio. Come spesso capita nei sistemi democratici con una molteplicità di partiti, si è creata nello scorso agosto in Italia una coalizione nuova fra partiti che si erano in precedenza combattuti portando avanti obiettivi fra di loro in contrasto. In questi casi il nuovo matrimonio esige un periodo di fidanzamento durante il quale si deve costruire il faticoso accordo a cui si debbono conformare i futuri modelli di convivenza. A differenza di quanto avvenuto in Germania e in Austria, tutto ciò non è stato possibile da noi, dove i processi di adattamento sono invece avvenuti dopo il matrimonio. Purtroppo, invece di dare la priorità ai numerosissimi capitoli nei confronti dei quali vi era un comune sentire, si sono messi sul tavolo, con spirito sostanzialmente masochistico, tutti i problemi nei confronti dei quali si erano verificate le più profonde divergenze.
Il dibattito sul pur importante tema della prescrizione è un esempio quasi scolastico di questo istinto suicida al quale si possono affiancare tanti altri casi. A questo istinto suicida si può porre rimedio solo cambiando totalmente strategia, con un programma che contenga una o pochissime priorità che possano attrarre in modo appassionato tutte le energie del paese. Di priorità decisive e unificanti per il nostro futuro ne voglio elencare solo tre: scuola, scuola e scuola. Alle quali aggiungere il naturale complemento della ricerca scientifica e delle moderne infrastrutture necessarie per raggiungere il livello dei paesi leader. Quando parlo di scuola intendo dalla materna ai corsi postuniversitari e, quando parlo di priorità, intendo uno sforzo finanziario massiccio. Uno sforzo senza precedenti e un cambiamento nelle gerarchie sociali capace di attribuire agli insegnanti e a tutti coloro che operano nel settore il ruolo e la dignità che essi meritano, ma gravandoli nello stesso tempo degli obblighi che la loro missione comporta.
È chiaro che tutto questo costa ed è chiaro che a questo scopo deve essere indirizzata una cospicua parte degli introiti della lotta all’evasione fiscale, oggi finalmente possibile con i nuovi mezzi tecnologici che abbiamo già a disposizione. E rimarranno disponibili anche risorse aggiuntive dedicate alla diminuzione delle imposte, diminuzione resa ora impossibile dai limiti del nostro bilancio pubblico.
La nuova politica europea ci offre inoltre, facilitando la raccolta delle necessarie risorse, la prospettiva di un altro grande progetto: la costruzione di un’Italia verde che, in un nuovo equilibrio ecologico e territoriale, si affianchi alla scuola per preparare un migliore futuro per le nuove generazioni. Sono sicuro che se ci poniamo questi due obiettivi con sufficiente energia e serietà il resto ci sarà dato in sovrappiù.
Mi rendo conto che l’attività di governo copre uno spettro ben più ampio di quello che ho volutamente semplificato nelle righe precedenti e di questo ogni governo deve tenere conto, ma sono anche convinto che, se non abbiamo punti di riferimento semplici e condivisi per preparare il futuro, dovremo accontentarci delle briciole sempre più scarse che ci ha lasciato il passato.