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Monte salari e disoccupazione giovanile



Guido Colomba

Vi è una stretta correlazione tra monte-salari e ripresa dei consumi. Lo confermano gli ultimi dati Usa. Le paghe orarie sono aumentate in ragione d'anno del 2,9%. Un ritmo che non si vedeva da sette anni e che preannuncia un probabile forte incremento della domanda privata proprio in virtù della crescita dei salari. Una proiezione che implica un aumento dell'inflazione e quindi del costo del denaro con almeno due interventi Fed previsti nel corso del 2017 in tema di rialzo dei tassi. Negli Usa il mercato del lavoro cresce ininterrottamente da 75 mesi. La scommessa di Wall Street sulla "supply side economy", annunciata da Trump, parte da questa solida base che rappresenta l'eredità più significativa (il PIL tendenziale sale al ritmo del 3,5%) lasciata da Obama. In Italia, superato senza clamore il referendum (rating invariati sul debito sovrano), stupisce l'assenza di un vero dibattito sui temi economici. A cominciare dalla disoccupazione giovanile pari al 40% nella fascia 18-35 anni. Questo dato è pari al doppio di quello europeo. Con un'aggravante: nelle cinque peggiori province (tutte nel Sud Italia) i giovani senza lavoro superano il 70%. La migliore è Bolzano con poco più dell'11% grazie ad un collaudato utilizzo dell'apprendistato. In media, le cinque migliori province (tutte nel Nord Italia) registrano un dato in linea con quello europeo (20-22%). Eppure, dovrebbe essere chiaro che, se non si mettono più soldi nelle tasche degli italiani, sarà molto difficile rilanciare la crescita e ridurre, con l'aumento del denominatore, il peso del debito sul Pil. Nè gli interventi a pioggia hanno finora dato i risultati attesi. Ci ha provato nel 2012 Cottarelli, affrontando la "spending review" (razionalizzare 70 miliardi di incentivi) e sappiamo tutti come è finita. Inoltre, la stessa politica industriale 4.0, indispensabile per la produttività del sistema-Italia, se non coinvolge i giovani, è destinata all'ennesimo fallimento. Sul tema sono sconcertanti i silenzi del ministro dell'Economia Padoan nella sua recente intervista al "Corriere della Sera". Anche le accuse contro i voucher sono precipitate nel ridicolo: rappresentano appena lo 0,3% delle ore lavorate in Italia e sono utilissimi per far emergere i lavori marginali e occasionali . In totale rappresentano una forza lavoro "full time" di appena 44mila persone, una goccia nel mare della disoccupazione. Giustamente Ferruccio de Bortoli (re: Corsera, 2 gennaio) ricorda come "in tutti i paesi in cui l'apprendistato è sviluppato, non vi è una grande differenza fra il tasso di disoccupazione giovanile e quello complessivo". Di sicuro non vi è il gap generazionale che caratterizza l'Italia. Logica e buon senso vorrebbero che si concentrassero i mezzi finanziari pubblici in questa direzione. Un modo per ridurre le tensioni sociali e ricostruire un clima di fiducia nel Paese. Purtroppo, anche lo scandalo (Poste italiane ha subito confermato i risarcimenti) dei Fondi immobiliari venduti nel 2003 a 20.873 risparmiatori dimostra il flop delle istituzioni, dalla Consob alla Banca d'Italia, risultate incapaci di comprendere il concetto di tutela del risparmio. La lunga crisi delle banche italiane (solo ora è stato deciso l'intervento dello Stato con 20 miliardi di euro) e l'assenza di un vero mercato finanziario aggravano la crisi storica di via Nazionale. A questa situazione si aggiunge la palese incapacità di saper "leggere" le normative europee - sempre approvate dal Parlamento -che hanno legato le mani all'Italia senza contropartite o clausole di salvaguardia come prevedeva lo SME, il sistema monetario europeo in vigore dal 1979 al 1998.