Alberto
Pasolini Zanelli
Un’altra nomina
per Donald Trump. Un’altra consacrazione. Due giorni dopo l’insediamento come
quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti, ecco un’altra decorazione: a
cosacco onorario. Senza cavallo, per ora, ma con un annuncio in termini
calorosi, in prima pagina di un settimanale di Mosca, soltanto una tra le molte
decorazioni ad honorem. Accompagnata dal verso di un coro il cui rituale suona
così: “Trump il sovrumano”. E da una “offerta speciale”, di una fabbrica
d’armi. Uno sconto del dieci per cento a tutti i cittadini americani, a
cominciare dai funzionari d’ambasciata, illustrato da un poster con un ritratto
del nuovo inquilino della Casa Bianca con il braccio sinistro levato in un
pugno chiuso accanto a una scritta senza ambiguità: “Di Trump ci fidiamo”. Una
risposta alle tante frasi di segno opposto, esibite e scandite per due giorni
abbondanti nelle strade di Washington, di New York, di Los Angeles, di San
Francisco da cortei di femministe e di altre “minoranze”, irate o sprezzanti,
scortate da poliziotti cortesi e cauti. I cosacchi, evidentemente, non erano
ancora arrivati con i loro cavalli e con le fruste che nella vecchia Russia
prendevano il posto degli sfollagente.
Le opinioni
contrarie e lusinghiere vengono invece ripetute sulla Piazza Rossa, a due passi
dall’ingresso del Cremlino. Non vogliono esprimere soltanto entusiasmo, ma
anche lo scetticismo, l’allarme e il timore che la festa – questa festa – duri
poco ma non a Mosca, bensì a Washington. Che le “elite antirusse” siano già
all’opera all’ombra della Casa Bianca per frustrare gli sforzi generosi e
illuminati del nuovo leader. Un’ipotesi tutt’altro che campata in aria: lo
stesso giorno della consacrazione, Donald Trump ha ricevuto la conferma che
andrà avanti l’inchiesta sul suo conto e sul possibile ruolo del neopresidente nelle
intromissioni sospettate russe nella campagna elettorale a sostegno del
candidato democratico Hillary Clinton, preferita dall’establishment perché
saldamente opposta a esperimenti giudicati azzardi pericolosi. Una ipotesi
improbabile ma non esclusa che trova anche conferme indirette nella voce del
nuovo presidente e del suo auspicato partner con i suoi cosacchi a
disposizione. I primi scambi di dichiarazione dopo la consacrazione di Trump a
leader della Superpotenza indicano soprattutto cautela. Sia l’uomo della Casa
Bianca sia quello del Cremlino confermano che intendono incontrarsi, ma pare vogliano
anche rassicurare i critici, molto sonori a Washington e quelli più sussurrati
a Mosca. Putin ha fatto scopertamente il tifo per Trump durante tutta la
campagna elettorale, tirandosi addosso i sospetti di indiscrezioni mirate.
L’esempio più noto
e più scoperto riguarda, prevedibilmente, la Siria. Conclusa vittoriosamente la
lunga battaglia per Aleppo, il Cremlino ha organizzato un vertice postbellico
in un Paese teoricamente neutrale ma contemporaneamente filorusso e in
maggioranza musulmano come in un Paese dell’Asia Centrale ex sovietica,
invitando la Turchia, l’Iran e gli Stati Uniti. Questi ultimi, ancora nella
fase Obama, non hanno accolto il suggerimento di presentarsi con un leader
della politica estera: preferiscono mandare qualcuno di meno impegnativo. Putin
probabilmente se l’aspettava e ha ritenuto di dover rispondere per le rime, diminuendo
così l’importanza di quell’incontro e guadagnando tempo, rinviando a tempo
indeterminato ma certo non lontano l’auspicato incontro a quattr’occhi con
Trump. Evitando così di rinfocolare i sospetti dei falchi. Né i russi né gli
americani desiderano una ipotesi improbabile ma non esclusa. Una nuova edizione
di un giallo spionistico di grande successo negli anni più acuti della Guerra
Fredda. Il titolo era Tinker, Taylor,
Soldier, Sailor, modificato per l’occasione inserendo al posto di Sailor la
parola Spy. Artigiano, Sarto,
Marinaio, Spia.