Alberto Pasolini Zanelli
Forse è davvero la volta buona.
Quella in cui il presidente degli Stati Uniti ha la possibilità, dunque
l’obbligo, di mettersi a lavorare, relegando finalmente la campagna elettorale
più lunga e rabbiosa dell’intera storia degli Stati Uniti. Donald Trump è il
quarantacinquesimo presidente e detiene finora un record: di essere stato
impegnato a battagliare per oltre diciassette mesi, un record perfino per i
ritmi Usa. Aveva cominciato nell’autunno del 2015, ha aspettato il via ufficiale
nel gennaio 2016, ha vinto le primarie del suo partito nella tarda primavera di
quell’anno, è stato eletto l’8 novembre del 2016 e proclamato vincitore il 20
gennaio 2017. Gli restava solamente la cerimonia della proclamazione, del
giuramento e, nelle attese generali, degli applausi e delle feste.
Solo per lui c’era però un
appuntamento tutt’altro che ovvio e tradizionale: quello con i fischi e le
proteste, una controcerimonia decisa e organizzata dalle femministe e
controfirmata dalla quasi totalità dei mass media. Che gliene hanno dette tante
da riempire il venerdì e il sabato e da costringerlo a rinviare l’inizio del
lavoro un giorno ulteriore, per prendere fiato, lasciando alle opposizioni
ventiquattro ore di monopolio. Ma il mondo, naturalmente, non si è fermato a
guardare ed ascoltare le centinaia di migliaia di donne, in genere giovani e
carine, che gridavano il proprio no ingigantendolo con una specie di uniforme:
un copricapo rosso forse casualmente ricalcato sul berretto grigio di una
rivoluzione parigina di due secoli fa. Una coincidenza che forse non è
dispiaciuta ai fautori del no, ma non altrettanto ai governi stranieri e
all’opinione pubblica di molti Paesi del mondo. Le cui reazioni, ufficiali o
meno, si sono nel frattempo accumulate e in queste ore Trump ha cominciato a
rispondere e dunque a delineare una politica estera non proprio rivoluzionaria,
ma importante e attesa.
Cominciando dai confronti più
urgenti, attesi, indicativi. Nessun incontro al vertice nelle prime
ventiquattro ore, ma il carnet comincia già a riempirsi. La prima telefonata
ufficiale è stata quella con Netanyahu, che aveva seguito con interesse gli
accenti di Trump sul problema palestinese e che ha trovato conferme per lui
essenziali: un’atmosfera molto più favorevole che negli otto anni in cui alla
Casa Bianca ha abitato Barack Obama. Un segnale di allarme, invece, per la
Cina, proprio nel momento in cui il presidente Xi debuttava nel più capitalista
dei teatri: l’incontro annuo di Davos. Il messaggio da Washington è meno
incoraggiante: è un miscuglio fra promesse e messe in guardia. Trump lo aveva
indicato chiaramente: la sua priorità è economica e riguarda i posti di lavoro
in America. Il resto è contorno, con un tono più duro e con offerte che
dovrebbero bilanciare almeno in parte il confronto: a cominciare da Taiwan ma
centrato sul dollaro e lo yen. All’Europa come tale Trump non ha ancora
parlato, anche se ha fatto sapere che il primo leader europeo con cui si
intratterrà è Theresa May, premier britannico: un partner di più antica data e
dalle intenzioni più incoraggianti per il nuovo inquilino della Casa Bianca: il
Brexit allarma gli europei, faceva arricciare il naso a Obama, è musica per le
orecchie di Trump.
Dal resto d’Europa, inoltre,
vengono segnali meno concreti ma incoraggianti a livello di opinione pubblica:
il vertice populista di Coblenza è stato ricco di complimenti e dichiarazioni
di intenti molto favorevoli, a cominciare dal leader della destra francese
Marine Le Pen, seguita in coro da diversi Paesi. Non solo in quella sede. La
più calorosa capitale è quella francamente meno attesa: quella bulgara. E non a
caso la più vicina a Mosca nell’ambito dei Paesi ex satelliti. La Russia è
abbastanza incoraggiante ma più cauta e in questo ricambiata. Putin aveva invitato
gli Stati Uniti a partecipare al vertice che si apre in queste ore nel
Kazakistan sulla Siria con la partecipazione della Turchia e dell’Iran. Trump
ha risposto a mezza voce: non manderà il ministro degli Esteri, ma un
funzionario di grado inferiore. Lo ha deciso Obama nelle ultime ore di Casa
Bianca. Il nuovo inquilino non ha cambiato la scelta, ma risposto come previsto
in toni molto più caldi. Il vertice con ogni probabilità si farà, ma Trump non
vuole dar prova di troppa fretta nel momento in cui le opposizioni continuano a
martellare sui sospetti di un’eccessiva simpatia, o complicità, fra i due
leader ostili alle nostalgie della Guerra Fredda. Quando il vertice si farà,
sarà singolare: un presidente degli Stati Uniti sotto inchiesta della Cia con
l’accusa di andare troppo d’accordo con il Cremlino.
Pasolini.zanelli@gmail.com
_____________________________________________
Il passato lo conosciamo è il futuro che fa paura.
Nicola Sisinni
_________________________________________
____________________________________________
_____________________________________________
Il passato lo conosciamo è il futuro che fa paura.
Nicola Sisinni
_________________________________________
La
mia antipatia per Trump credo che sia al di sopra di ogni dubbio. Secondo me
lui rappresenta proprio il contrario di quello che io vorrei in un Leader:
arrogante, sbruffone, bugiardo, impreparato
E
quindi bullo, vuoto nei contenuti, senza ideali e pericolosissimo. So di averne
tanti altri motivi ma ora non mi vengono a mente.
Detto
tutto questo però, io sono anche disposto a dargli la possibilità di fare
qualcosa. Per dimostrare che il suo populismo non è campato in aria, dovrà
prendere dei provvedimenti, annullare vecchi programmi e crearne di nuovi.
Anche se ha dalla sua parte sia il Congresso che il Senato, non credo che avrà
vita facile.
Per
il bene di questo Paese, mi auguro che trovi la strada giusta e che sappia
anche avvicinare i due partiti, oggi così lontani l'uno dall'altro. E, per
finire, siccome credo che i Democratici siano persone moralmente più tolleranti
dei Repubblicani, mi auguro che trovino il modo di aiutare la nuova
Amministrazione ad avere successo, per il bene del Paese e di tutti noi. E non
come si sono comportati i Repubblicani negli ultimi otto anni promettendo, fin
dal primo giorno dell'insediamento di Obama, di ostacolarlo in ogni modo
possibile in tutto e per tutto.
Dixit
Riccardo____________________________________________