Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 22 gennaio 2017
Anche se i proclami delle campagne elettorali non sempre sono seguiti da decisioni di governo coerenti, bisogna tuttavia ammettere che le dichiarazioni di Trump segnano già una rottura senza precedenti nella politica americana. Tutto è stato detto sui muri con il Messico, sulle dogane con la Cina, sull’abbraccio con la Russia e, soprattutto, sul nuovo concetto di primazia americana.
A tutto questo sarà bene aggiungere qualche riflessione sui probabili cambiamenti nei rapporti fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea.
Tradizionalmente sono stati rapporti di grande amicizia, con crescenti
scambi commerciali, crescenti investimenti incrociati e confronti
intellettuali frequenti ed aperti. Fin dai tempi della guerra fredda
tutto questo si fondava su un contratto non scritto ma sempre
funzionante: gli Stati Uniti esercitavano una sorte di padrinaggio sulla
politica dei paesi europei ed utilizzavano i loro territori per ragioni
strategiche. In cambio gli americani garantivano la sicurezza europea attraverso la NATO,
totalmente sostenuta dalla forza militare ed economica degli Stati
Uniti. Questo patto ha soddisfatto a lungo gli americani ma ancora più
noi, anche perché, alla fine dei conti, la presenza di un padre fornito
di un robusto bastone, semplificava i complicati rapporti esistenti tra
gli stessi paesi europei.
Nel primo dopoguerra i legami fra le due sponde dell’Atlantico si sono
mantenuti molto stretti sia per la presenza della minaccia dell’Unione
Sovietica sia per la perdurante importanza dell’emigrazione europea
nella composizione demografica americana.
Questo legame si è conservato ma si è anche evoluto nel tempo. Via via
che l’Unione Europea diventava un partner sempre più potente gli Stati
Uniti hanno continuato a esercitare il loro ruolo di amico e di
protettore, purché l’Europa non esagerasse. Per usare un linguaggio
semplificato, la leadership americana era ben contenta che l’Europa
nuotasse ma era altrettanto contenta che ogni qualche bracciata bevesse
un poco d’acqua. Posso citare come esempio le pressioni esercitate per impedire la nascita di Galileo,
il grande progetto di comunicazione satellitare che avrebbe fatto
concorrenza al Gps americano, ma si potrebbe continuare con infiniti
altri esempi nel campo industriale e bancario.
Col passare del tempo gli Stati Uniti sono diventati sempre più
multietnici e quindi non più legati in modo particolare alle radici
europee, fino ad arrivare al Presidente Obama, che con l’Europa non
aveva proprio alcun legame. Obama ha sostanzialmente ignorato l’Europa,
non citandola nemmeno nei suoi discorsi ma ha mantenuto i tradizionali
rapporti bilaterali di cortesia e cooperazione con i suoi leader. Solo
nell’ultimo anno, e soprattutto dopo la Brexit, è corso al riparo,
preoccupato per un nostro possibile eccessivo indebolimento.
Tutto era comunque destinato a proseguire sui binari tradizionali: gli
Stati Uniti felici di proteggerci e le nazioni europee felici di farsi
proteggere e tra di loro concorrenti nel cercare di diventare la figlia
prediletta del padre premuroso.
Ora è arrivato Trump con le sue dichiarazioni che una vera e propria rivoluzione nei rapporti tra Europa e USA.
Il nuovo presidente ha condannato a morte la NATO, ha rovesciato la
precedente politica nei confronti della Russia e ha sostanzialmente
detto agli europei che dovranno farsi carico della propria difesa.
Trump è andato però molto più avanti, appoggiando l’uscita della Gran
Bretagna dall’UE e dialogando con i politici più anti-europei dei
diversi paesi.
Forse
perché questo non bastava per rendere chiaro a tutti il proprio
pensiero nei confronti dell’Europa, il nuovo presidente americano ha
lasciato tutti a bocca aperta, affermando che l’Unione Europea è solo
una strumento per esaltare la potenza della Germania.
Una bella carezza nei confronti di un paese che, dimostrando fedeltà
nei confronti degli Stati Uniti fino da diventarne la figlia prediletta,
è stato perfino il paladino delle sanzioni contro la Russia, anche se questa decisione danneggiava pesantemente gli interessi germanici.
Come reazione a queste novità della politica americana mi sarei
aspettato almeno una riunione d’urgenza del Consiglio e della
Commissione Europea. Tutto procede invece come se nulla fosse.
Eppure, di fronte a questo nuovo quadro, vi sono due ovvie decisioni da prendere immediatamente. La prima è quella di togliere le sanzioni contro la Russia:
non vedo infatti perché lasciare agli Stai Uniti un ruolo privilegiato
nei rapporti economici con il nostro grande vicino, dopo che sono stati
loro a spingerci verso una crescente tensione nei suoi confronti.
La seconda è quella di preparare subito un progetto comune di difesa europea.
In questa prima fase non vi è nemmeno bisogno di spendere di più perché
grandi risultati possono essere ottenuti semplicemente mettendo
insieme, sotto un unica autorità, le risorse militari esistenti.
Sorprende vedere che cambia il mondo e che l’Unione Europea non se ne voglia accorgere.
Le spiegazioni di questo paradosso possono essere due. La prima è che
non crediamo alle parole di Trump, se non altro perché il nuovo ministro
della difesa americana James Mattis si è esibito, contrariamente al suo
presidente, in una solenne difesa della NATO. La seconda è che forse
pensiamo che abbia ragione Trump quando dice che l’Europa non esiste. Io
credo invece che quanto sta accadendo costituisca un’occasione preziosa
per dimostrare che l’ Europa è finalmente in grado di conquistarsi il posto che le spetta in un processo di ragionata globalizzazione.
Romano Prodi