Alberto Pasolini Zanelli
Non occorreva troppa preveggenza
per avvertire che il neopresidente Usa, intento a mostrarsi uomo dalle pronte
decisioni, correva dei rischi di fronte a una situazione molto complessa sia in
campo internazionale, sia (e fino adesso ancora di più) per quanto riguarda gli
equilibri di potere in America. Appena sbarcato in una terra per lui incognita
e piena di nemici, egli ha a quanto pare deciso di poterli domare solo giocando
d’anticipo, affrontandoli mentre molti fra loro probabilmente abbozzavano i
piani per circondarlo e boicottarlo. Trump ha nemici un po’ in tutti gli angoli
del suo impero, in entrambi i partiti, compreso il suo, in ogni angolo
dell’establishment, nel Congresso e nella magistratura e nella burocrazia. Tutti
questi organi, dopo averlo combattuto strenuamente durante la campagna
elettorale, hanno evidentemente deciso di contrattaccare ora ad ogni occasione,
ad ogni sua decisione discutibile e vulnerabile. Categoria che descrive
perfettamente le dimensioni e le asprezze della crisi degli immigrati. Trump lo
aveva detto, sinceramente e perfino brutalmente, quali erano le sue intenzioni:
bloccare quelli nuovi, rimandare a casa quelli in qualche modo illegali.
Il mondo politico americano era ed
è in maggioranza scettico su questa sua strategia e forse per questo non si
aspettava un Blitz così immediato. Ed è giunto come un lampo, poche ore fa, il divieto
di ingresso in America agli aspiranti profughi dalle aree del Medio Oriente più
immediatamente coinvolte in operazioni militari e nelle atrocità delle organizzazioni
terroristiche jihadiste. Si tratta di una misura in parte spiegabile con la
situazione sul terreno e la paura diffusa un po’ in tutto l’Occidente che
fanatici cresciuti in Europa o negli Usa vadano nelle zone di battaglia ad
imparare le tecniche del terrorismo e a farsi ulteriormente fanatizzare; ma il
suo ordine ha fatto l’effetto di un fulmine in un cielo tutt’altro che sereno e
di un ukase in uno stile poco compatibile con i riti della democrazia. E forse
anche per questo definito male.
Il bando all’ingresso degli Usa dei
profughi del Medio Oriente è in netto contrasto con la linea ufficiale e
concorde dell’Occidente tutto nei confronti dei profughi, cioè delle vittime delle
guerre islamiche in corso. Larghe fasce dell’opinione pubblica si erano in
qualche modo abituate a sentirsi qualcosa di non interamente dissimile dagli
infermieri di quell’ospedale da campo preconizzato dal Papa. Di colpo adesso i
profughi vengono presentati non come vittime, ma come possibili apprendisti criminali.
Per di più non tutti, divisi come sono secondo i Paesi di origine secondo
definizioni discutibili: dovrebbero smettere di rifugiarsi in America coloro
che fuggono dalla Siria, dall’Irak e dagli altri Paesi in cui il terrorismo e
la guerra infuriano, mentre potrebbero tranquillamente sbarcare cittadini
dell’Arabia Saudita, degli Emirati e del Kuwait, zone per ora assai meno calde e
di religione sunnita, in evidente contrasto con le statistiche dei gesti di
violenza contro gli Stati Uniti, a cominciare dalla strage dei tremila morti a
New York l’11 settembre 2001.
Un complesso di motivi per
sollevare molte obiezioni, anche assai recise, che vanno dall’annullamento
dell’ordine presidenziale da parte degli organi preposti, alla sospensione
delle operazioni, alla paralisi degli aeroporti internazionali accompagnata da
dimostrazioni di massa ostili alla decisione presidenziale, ben presto estese
ai mercati finanziari con una caduta dei titoli azionari. Una tensione ancora
più acuta per l’intervento del ministero della Giustizia che ha anch’esso
respinto l’ordine del presidente definendolo “incompatibile con le solenni
obbligazioni di questa istituzione che sempre difende la giustizia e il
diritto”. Poche ore dopo la Casa Bianca ha licenziato la procuratrice generale
Sally Yates accusandola di avere “tradito il ministero della Giustizia
rifiutandosi, per motivi politici, di obbedire a un ordine legale destinato a
proteggere i cittadini degli Stati Uniti”. Il licenziamento dell’importante funzionario
inasprisce così ulteriormente le tensioni e inaugura quella stagione di
contrasti fra la Casa Bianca e il resto del mondo politico Usa che era stata
prevista alla vigilia delle elezioni. E che non è dunque una sorpresa. Lo è
invece l’esito del voto.