Alberto Pasolini Zanelli
Escalation continua
in Corea: da un piccante scandaletto Wikileaks alle ipotesi di rappresaglie, a
un intervento in prima persona del presidente degli Stati Uniti. Obama ha
apparentemente esitato, o preferito aspettare, a salire sul ring, anche per non
essere trascinato in una polemica che in parte potrebbe guastare l’atmosfera da
luna di miele natalizio succeduta al “trattato di pace” con Cuba. Ma non poteva
aspettare altrimenti né permettere che la polemica rimanesse a un livello francamente
ineguale, fra una commediola satirica e un regime tristemente famoso per la imprevedibilità
delle sue mosse e la brutalità dei suoi metodi. Un dittatore contro dei
direttori di cinematografi. L’uomo della Casa Bianca doveva parlare in prima
persona e lo ha fatto, anche per ristabilire un equilibrio e distribuendo
critiche e moniti ai protagonisti. Gli Stati Uniti, ha detto, “risponderanno
adeguatamente ai cyber attacchi del regime di Pyongyang contro la Sony, in forma non ancora
scelta ma al momento e nel modo opportuno” per reagire contro una nazione dalle
capacità nucleare. Dopodiché ha dato uno scappellotto anche alla Sony,
accusandola di avere capitolato frettolosamente. “Avrebbero dovuto parlare
prima con me e io gli avrei detto di non entrare in un gioco in cui siete
sottoposti a questo genere di attacchi criminali”. Parole che rivelano come
l’inchiesta sugli “incidenti” è ormai conclusa e l’Fbi ha già raccolto prove
sufficienti per attribuire la responsabilità e l’organizzazione degli attacchi
al governo nordcoreano.
A questo punto
l’accenno a una “risposta adeguata” potrebbe preludere a una vera e propria
rappresaglia da parte americana, di caratteristiche e misure molto differenti
da quelle decise nelle precedenti “schermaglie elettroniche”. Il presidente si
è chiesto, in sostanza, non soltanto “che cosa accadrà se rispondiamo” bensì
soprattutto “cosa potrebbe succedere se non reagissimo”. Tuttavia Obama non ha
mancato di richiamare in gioco gli aspetti curiosi se non addirittura farseschi
di questa peculiarissima crisi e non ha mancato di ironizzare su un regime che si
lascia trascinare a gesti illegali dal panico per quella che è sostanzialmente un
film satirico. Di “ridotte dimensioni” e che è diventato famoso proprio per le
reazioni di Kim Jong-Un, evidentemente sproporzionate alla “provocazione” e che
contengono il rischio, fra l’altro, di confondere le idee e di creare una
tensione internazionale sproporzionata ai contenuti del film ma giustificabile
proprio per i precedenti. La
Corea del Nord, oltre ad essere probabilmente la dittatura
più “chiusa” rimasta al mondo, in stile stalinista e macchiata anche di recente
del sangue di una faida familiare con l’eliminazione fisica dello zio supposto
rivale dinastico del nipote onnipotente, è stata inclusa poco più di dieci anni
fa nella lista delle minacce nucleari, come membro (termine creato dal
predecessore di Obama, George W. Bush) nell’“Asse del Male” assieme all’Iran e
all’Irak.
La Sony non ha dunque le dimensioni politiche per rimanere la sola controparte
di questa crisi, anche perché è costretta dalla propria natura a lasciare una
parte importante delle decisioni nelle mani dei direttori di sale
cinematografiche; che all’ottanta per cento hanno rifiutato, per motivi di
sicurezza, di proiettare il film.
Obama vuole dunque
riservarsi l’ultima parola onde ristabilire le proporzioni e gli equilibri di
quella che ha alcuni aspetti di vera e propria crisi internazionale e che non
può essere gestita sulle battute di Angelina Jolie e sulle parodie dei
comportamenti attribuiti a un dittatore prima di essere vittima di un complotto
assassino. Obama ha parlato chiaro in un contesto non facilissimo fra i rischi
opposti di esagerare e di non prendere abbastanza sul serio il problema. Le
decisioni degli Stati Uniti nei confronti di un Paese ostile ma sovrano non
possono essere devolute a un gigante dell’elettronica e dello spettacolo.
L’America non poteva non parlare, non potrà non reagire, ma non intende
lasciare che questo incidente interferisca con le tensioni internazionali
plurime e ben reali. Non ha potuto non accennare alle tensioni con la Russia, al Medio Oriente,
alla tragedia del Pakistan Ma non ha voluto nemmeno far “sparire” troppo in
fretta dalla memoria lo storico successo che egli ha appena ottenuto
riallacciando le relazioni fra Washington e L’Avana, mettendo fine a una Guerra
Fredda che ha compiuto 54 anni e ha visto impegnati undici presidenti. È stato
uno dei momenti più felici della sua tormentata presenza alla Casa Bianca,
anche se ha suscitato polemiche, addirittura. preelettorali. Una vignetta lo
presenta su una barchetta del tipo su cui per mezzo secolo i profughi cubani
veleggiavano verso l’America. Anche Obama è salpato, però nella direzione
opposta: per le vacanze a casa. Nelle Hawaii.