Alberto Pasolini Zanelli
Un ritorno alla
Guerra Fredda sembra delinearsi fra Washington e Mosca, in un accavallarsi di
sanzioni e reazioni che sembra rimandare ai vecchi tempi. Ed ecco, invece,
quasi improvvisa, in controtendenza, una Guerra Fredda che si spegne. Fra gli
Stati Uniti e Cuba. Pareva eterna, deteneva ormai il primato mondiale di
durata, aveva compiuto il mezzo secolo, aveva coinvolto tutti i presidenti
americani da Kennedy a Obama, spesso scossa da incidenti che la aggravavano,
combattuta da consolidate ideologie e da solidi interessi. C’era scappata anche
un rischio di guerra mondiale, quando, respinto dal regime dell’Avana alla Baia
dei Porci il tentativo controrivoluzionario appoggiato dall’America, il regime
comunista cercò una “polizza assicurativa” nella presenza di missili sovietici.
Fu il momento peggiore, finì in un compromesso ma il rapporto fra i due Paesi
pareva congelato per sempre. Perfino quando Gorbaciov, per salvare i brandelli
dell’economia russa, “scaricò” Fidel Castro abbandonando i cubani fin verso
l’orlo della fame. Li salvò il Venezuela di Chavez con le forniture gratuite di
petrolio. Ora Chavez non c’è più, ma Fidel pareva ogni tanto sul letto di morte
ma poi si confermava “immortale”, anche dopo avere ceduto i poteri reali al
fratello Raoul.
Fra gli statisti
americani il più desideroso di porre fine a un conflitto talmente anacronistico
è naturalmente Obama, che ha visto però frustrate gran parte delle sue
iniziative internazionali. Il suo orizzonte buio è stato adesso rischiarato da
un lampo, anzi da un blitz anche nel senso della rapidità di esecuzione. Il
“pretesto” è stato uno scambio di prigionieri di cui si parlava ogni tanto,
stancamente, da anni. Tre cubani detenuti negli Usa, un’americana in prigione
all’Avana. Non avevano nulla a che spartire, ma fornivano un’opportunità e
quindi sono stati “accoppiati” e ora tornano a casa tutti e quattro. Pareva
solo un primo passo ma invece i governi gli hanno dato subito il massimo
risalto, in particolare quello americano, che ha dichiarato finalmente la
propria intenzione di chiudere l’era dell’embargo. Parola di Obama, dettagli lasciati
al lungo comunicato del Dipartimento di Stato, risposta calorosissima
dall’Avana per voce del Castro junior ma anche con la benedizione dell’“immortale”
Fidel. Le ambasciate di entrambe i Paesi, chiuse da mezzo secolo, riapriranno
tra breve e si occuperanno di sciogliere a poco a poco i lacci delle
restrizioni tuttora in corso sui viaggi e sui commerci. Qualcosa era già stato
fatto, ma in misura minima in confronto al peso delle sanzioni accumulatesi in
più di cinquant’anni.
Le pressioni più
concrete per una liberalizzazione erano venute ultimamente dal mondo economico.
Un numero sempre maggiore di imprenditori americani riteneva che fosse il momento
giusto per riaprire l’antico capitolo degli investimenti nell’isola,
soprattutto nel campo dello zucchero, di altre industrie alimentari tropicali e
del turismo. L’“abbandono” da parte dei “fratelli sovietici” aveva obbligato
Fidel, già negli anni Novanta, a cercare qualche sostituto all’Occidente e
quindi a limitare le barriere, allora altissime, al settore privato, ma il governo
americano aveva giudicato queste riforme con molto scetticismo e risposto con
misure di minimo impatto. Il contrario di oggi, nel momento cioè in cui l’intero
rapporto dovrebbe cambiare, anche sul piano politico. Obama “rilasserà”
incontrerà tuttavia grossi ostacoli. A Washington. La lobby dei cubani in
esilio è molto forte e decide spesso il risultato delle elezioni in uno Stato
importante come la Florida,
che ha avuto per governatore Jeb Bush, figlio e fratello di presidenti e quasi
certamente candidato alla Casa Bianca nel 2016, in concorrenza per
di più con un potente senatore di origine cubana, Marco Rubio, notissimo “falco”.
Obama potrà, se si impegnerà a fondo, rimuovere queste “barricate” attraverso
una serie di “decisioni esecutive” che “evadono” l’assenso del Congresso, come
accade con le riforme sull’emigrazione. Uno scontro particolarmente vivace fra
la destra repubblicana si preannuncia per quando il Dipartimento di Stato
procederà a cancellare Cuba dalla “lista degli Stati che fomentano il
terrorismo internazionale”.