Alberto Pasolini Zanelli
Qualcuno l’aveva dato per
fallito, o addirittura per morto. Invece . Anzi, accelera i tempi. Era già stato anticipato il vertice fra Putin
e Tsipras, adesso non solo li hanno stretti, ma arricchiti di nuovi contributi
e di qualche, sia pure ardua, speranza. Il primo ministro greco e il presidente
russo hanno già disegnato lo “schizzo” di un oleodotto che colleghi i due
Paesi. Un “tracciato” come sostituto di quello iniziale che doveva passare per
i Balcani ma che ha subito il veto della Bulgaria, probabilmente “consigliato”
dalle autorità europee. Putin e Tsipras avevano nel cassetto l’alternativa. La pipeline ha già un nuovo nome: Corrente
Turca. Invece che attraverso i Balcani passerà per la Turchia, sul fondo del
Mar Nero, con un prolungamento previsto per l’Italia.
È solo una parte del progetto di
collaborazione fra Mosca e Atene. La contropartita è un progetto ellenico di
natura finanziaria oltre che politica e il ministro degli Esteri del Cremlino,
Lavrov, ha già espresso parere favorevole. La Russia, pur indebolita dal crollo
dei prezzi petroliferi e dalle sanzioni dettate dall’Occidente, mostra di avere
compreso le necessità elleniche e pare aver giudicato utile dare una mano al
governo di Atene, impegnato in una vera e propria mano di poker e costretto
dall’intransigenza soprattutto dei tedeschi ad una ulteriore “stretta” che
potrebbe includere la nazionalizzazione del settore bancario e il varo temporaneo
di una valuta provvisoria. Ne ha bisogno per cercare di tappare il buco di un
debito esterno salito alla vertiginosa altezza dell’175 per cento del reddito
nazionale. Quello che gli si propone, o impone, include tagli alle spese e, fra
l’altro, a stipendi e salari, che dovrebbero scendere di un ulteriore 25 per
cento. Producendo nuovi immensi sacrifici e senza garanzia di un anche minimo
progresso ai fini di una “ripresa”. La diminuzione, o distruzione, del potere
d’acquisto porterebbe a livelli della Grande Depressione e a sofferenze umane
difficilmente accettabili. È già successo, per esempio, di vedere malati cui è
negato l’ingresso all’ospedale perché non dispongono dei 5 euro richiesti e
rimandati a casa senza medicine. Visioni da incubo ma al governo greco vengono
richiesti sacrifici ulteriori per poter sperare di rimanere in Europa. I
cittadini non lo sopportano più e lo hanno dimostrato eleggendo il giovane
leader di un “partito della protesta”.
Ma anche così Atene non si fa più
probabilmente speranze. Lo stato d’animo prevalente in Grecia è riassunto in un
dialogo apocrifo fa Tsipras e la Merkel. Lui: “Vogliamo rinegoziare il
trattato”. Lei: “No”. Lui: “Per potergli aggiungere l’opzione della crescita”.
Lei: “No”. Lui: “È imperativo che riconosciamo che l’Austerity da sola è
nefasta”. Lei: “No”. Lui: “Abbiamo assoluto bisogno di questo accordo”. Lei:
“No”. Di conseguenza la caduta del governo Tsipras potrebbe essere imminente, ma
non porterebbe né alla installazione di un primo ministro “collaborazionista”,
né alla uscita totale della Grecia dall’Europa. Il governo attuale, nato dalla
protesta e alla disperazione, potrebbe perdere, se in qualche modo si piegasse,
non solo il potere ma anche la faccia. A un elettorato prevalentemente di
sinistra risulterebbe impossibile sottoscrivere le condizioni “suggerite” da Bruxelles
e da Berlino, che includono il passaggio del debito “privato” a quello
pubblico, in conseguenza l’intera zona euro subirebbe una contrazione di almeno
l’1,5 per cento.
O questo, oppure la Grexit, la
“uscita” della Grecia dall’Europa. Il fenomeno potrebbe, questo è il punto, non
fermarsi alle frontiere elleniche ma coinvolgere altri Paesi. Perlomeno a livello
dell’opinione pubblica. Le correnti antieuropee si stanno espandendo e non
ovunque limitate, come è accaduto finora, alla Grecia. Già Tsipras, leader
dell’estrema sinistra, può governare con l’appoggio e la partecipazione di un
partito di destra egualmente eurofobo. Un “fronte della protesta” si delinea in
molti Paesi ma in due versioni. Gli “arrabbiati” si spostano verso la sinistra
come in Spagna o nella direzione opposta come nei Paesi nordici. Ma è
particolarmente forte in Gran Bretagna e in Francia. Mosca spera che l’ondata
di delusione e di malumore finisca con l’investire i rapporti di forza su scala
più ampia e che fra i Paesi “dissidenti” ce ne sia almeno uno che ritenga
necessario alleggerire se non eliminare le strategie di boicottaggio contro Mosca.
Per rinnovare queste sanzioni, occorre l’unanimità dei governi europei. Putin
spera invece che si crei una sorta di “Europa degli antieuropei”. Putin gioca
d’audacia nella speranza di allargare attraverso Atene le “fessure” che pensa
di avere intuito in altri Paesi europei prevalentemente danneggiati dalle
conseguenze delle sanzioni. La lista delle speranze accarezzata al Cremlino
pare comprendere l’Italia e la Spagna, l’Austria e l’Ungheria e Cipro.