Alberto Pasolini Zanelli
Nonostante la bozza
di compromesso faticosamente stilata l’altro giorno a Losanna, il cammino
dell’accordo fra Stati Uniti e Iran sul nucleare e tuttora lungo e irto di
ostacoli. Almeno due dei quali con potenziale di veto: il Congresso di
Washington e la Suprema Autorità
di Teheran. Cento senatori e un ayatollah. I primi hanno parlato anche troppo,
sbandierando la propria ostilità, mettendo al muro il presidente Obama,
incoraggiando e stimolando con messaggi drammatici colui che dovrebbe essere il
leader della teocrazia dogmatica della controparte: Ali Khamenei. Che fino a
ieri aveva taciuto, barricandosi in un silenzioso grintoso che ai più era parso
un ennesimo segnale di ostilità nei confronti del dialogo.
Adesso Khamenei ha
parlato e ha, in parte, sorpreso. Ha offerto ai più agitati tra i suoi seguaci qualche
consolazione preventiva. Ha ribadito che le sanzioni dovranno andare via tutte
appena l’accordo sarà stato firmato. Ha messo in guardia contro il pericolo che
qualcuno in Occidenti tenti di imporre una versione restrittiva dell’accordo.
Ciò detto, invece che all’invettiva e alle scomuniche si è affidato, per ora,
all’ambiguità. Come “balcone” ha scelto il più impegnativo: una allocuzione
televisiva in occasione della “Giornata nazionale della tecnologia nucleare”.
L’occasione più adatta per confermare la leadership dei critici delle
trattative. E invece ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte. Ha espresso
più scetticismo che ostilità diretta. Non ha escluso che la fragile struttura
del compromesso raggiunto a Losanna possa andare ai frantumi sotto il peso dei
dettagli di qui alla scadenza del 30 giugno. Ha ricordato di “non essere mai
ottimista quando si deve trattare con gli Stati Uniti”, però ha aggiunto,
mentre ancora le moltitudini scandivano “morte al Grande Satana”, di essere
d’accordo con i negoziati e di sostenere, “oggi come ieri”, i negoziatori. Ha
definito inaccettabile ogni ispezione internazionale alle basi militari
iraniane “con la scusa dei controlli nucleari”, ma ha concluso negando una
volta di più che l’Iran “farsi la
Bomba”. E questo perché “le armi nucleari sono proibite
dall’Islam”. Allah ha scomunicato l’Atomica.
Così parlò
Khamenei, il falco. Nessuno in Occidente è tenuto a prenderlo alla lettera, ha
fidarsi di lui più di quanto lui si fidi dell’America. Quella che emerge dalla
sua allocuzione, tuttavia, è tutt’altro che una scomunica della “linea” tenuta
da Hassan Rouhani, presidente eletto dell’Iran e suo gestore “laico”. Staremo a
vedere i fatti, ma le parole dei due sono, per il momento, compatibili. Soprattutto
nelle aree cruciali. Come Khamenei, Rouhani intende limitare al nucleare come
arma l’oggetto delle trattative e delle concessioni, mantenendo per Teheran
libertà per le proprie iniziative politiche e politico-militari. A cominciare
dall’intangibilità delle strutture teocratiche. E come Rouhani, Khamenei
potrebbe essere in qualche misura disposto a tollerare altre necessarie riforme
che i settori più avanzati dell’Iran reclamano. E che il proseguimento delle
trattative agevolerebbe, anche e soprattutto mediante contatti con gli Stati
Uniti, in parte inevitabilmente conflittuali. “Una discordia istituzionalizzata
– secondo una formula raccolta da Roger Cohen – è preferibile ad una
alienazione traumatica”. Con ogni verosimiglianza Rouhani non è un
“rivoluzionario”, un Gorbaciov italiano. La formula che qualcuno gli
attribuisce è semmai “preservare il sistema, trasformare l’economia, aprirsi al
mondo” potrebbe essere ispirata, semmai, da Deng Xiaoping. Fatte le debite
proporzioni.
L’accostamento è
fantasioso ma non interamente irrealistico. E tanto meno inconciliabile con la
“visione” di Obama di un mutamento della “dinamica” nel Medio Oriente e con i
traguardi raggiunti finora con coraggiosa persistenza da John Kerry. L’uno e
l’altro che per l’Iran e per i suoi vicini esista una “terza via” fra una resa incondizionata
e l’intransigenza spinta fino alla provocazione. La via di una normalizzazione
razionale e paziente. Quella battuta con la Cina demaoizzata da Deng e ora imboccata a Cuba
ancora governata da un Castro. Che Rouhani pare voler esplorare e Khamenei
potrebbe stare scoprendo in un Medio Oriente altrimenti preda dell’incubo nero
dei Califfi.