Alberto
Pasolini Zanelli
Barack Obama potrà
ricordare, almeno per qualche settimana, il suo periplo nell’America Centrale e
nei Caraibi come una gioiosa vacanza, in un clima che di rado è così favorevole
per un presidente americano in quella parte del mondo. Non solo e non tanto nella
pur simbolica stretta di mano con un capo di Stato di cognome Castro, con cui
gli Usa avevano interrotto i diplomatici da più di mezzo secolo (durante il
quale la Guerra Fredda
toccò il suo apice: missili sovietici si impiantarono a Cuba e il mondo temette
un diretto scontro nucleare), ma anche per l’atmosfera creata dagli altri
partecipanti al “vertice delle Americhe”. Un’atmosfera in cui per qualche
giorno almeno è parso diventare realtà quello che finora era stato poco più di
un sogno obamiano: quello di un mondo in trasformazione in cui le parole
incoraggianti, la buona volontà e la capacità di “guardare lontano” possono
prevalere anche sulle ostilità e sugli ostracismi più acuti.
Però i sogni non
durano e neppure le vacanze. Appena rientrato a Washington, il presidente si è ritrovato
tra i piedi, sulla soglia della Casa Bianca, un ostacolo che si chiama Iran e
una crisi che lo vede al centro. Ed è molto reale, tanto è vero che la
conclusione, o almeno l’aggiornamento di una trattativa importante, che
formalmente si è chiusa con qualche progresso, è servita poi soprattutto a
rilanciare le polemiche. Probabilmente soprattutto a Teheran (da cui giungono segnali
ambigui tipici dei Paesi lontani dagli usi democratici) ma soprattutto e
apertamente a Washington. Obama si trova di fronte alla vera alternativa e alla
più potente opposizione. Anzi, allo scontro aperto fra due visioni e scenari: è
come se il presidente democratico e l’opposizione repubblicana vedessero e
parlassero di due realtà differenti e contrapposte. Obama si aggrappa più
tenacemente che mai a una sua lettura del futuro. Gli accordi, sia pure
imperfetti, raggiunti a Losanna potrebbero cambiare l’atmosfera, mettere a poco
a poco in secondo piano il contrasto ufficiale con gli Stati Uniti che si
riassume nei progetti nucleari iraniani e far salire al primo, facilitate dalla
rimozione delle sanzioni e del boicottaggio economico, gli interessi “normali”
che le tensioni collegate alla Bomba hanno finora impedito. Nella logica di
Obama un Iran disposto realmente a rinunciare all’“arma dell’Apocalisse”
dovrebbe dire addio agli altri progetti che gli vengono attribuiti, dalla sfida
a Israele a un ruolo nelle diverse guerre in corso nel mondo arabo, mentre
all’interno l’“ala riformista” incarnata dal presidente Rouhani, prevarrebbe
sugli estremisti, annidati nel clero reazionario e nelle Guardie
Rivoluzionarie.
Quella dei
repubblicani è una “lettura” opposta, espressa con ancora più chiarezza non
solo nelle polemiche ma anche in una serie di gesti ufficiali, culminati nel
messaggio firmato da 47 senatori e spedito all’ayatollah Khamenei con pressanti
inviti a rifiutarsi di ratificare accordi e documenti voluti da Obama. Un
“invito” rafforzato dalla “promessa” di un veto anche da parte di Washington. L’argomento
è questo: l’accordo eventuale avrebbe sull’atteggiamento iraniano effetti
opposti a quelli cercati dalla Casa Bianca. La riduzione delle sanzioni
economiche e commerciali non placherebbe gli appetiti iraniani ma invece rafforzerebbe
la minaccia che essi rappresentano: quelle “centinaia di miliardi di dollari”
che affluirebbero nelle casse di Teheran verrebbero usati non per rilanciare
l’economia ma per finanziare ancora più “generosamente” quelle che i “falchi”
di Washington definiscono “avventure militari” in Siria, in Irak, nello Yemen e
forse anche in altri Paesi arabi e musulmani, compresi la Giordania e più
direttamente la Palestina:
missili, strumenti cibernetici e altre armi avrebbero un’efficacia più
immediata anche se non direttamente collegati alle ambizioni nucleari. La
situazione nel Medio Oriente peggiorerebbe, le ansie di Israele si accrescerebbero
ancora, le tensioni continuerebbero ad aumentare. Un accordo che ha scopi di
pace servirebbe invece a rinfocolare una delle tante guerre che tormentano il
Medio Oriente. Compresa quella tra la peste e il colera.