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Banca d'Italia, crisi della comunicazione


Guido Colomba

C'e' un problema di comunicazione e di trasparenza. Negli anni '70, il governatore della Banca d'Italia, Guido Carli, aveva la buona abitudine di spiegare ai giornalisti i dati ufficiali (bilancia dei pagamenti, riserve obbligatorie ecc.) ed incoraggiava il "Centro di documentazione economica per giornalisti" (tra i suoi membri Scalfari, Zappulli,ecc.) sulla strada della comprensione dei dati e della trasparenza. Un modo per trasmettere agli italiani una cultura finanziaria. Che cosa è rimasto di tutto ciò? Sembra ben poco. Sono proprio i grandi quotidiani nazionali a riferirci del "gelo" tra Palazzo Chigi e la Banca d'Italia dopo la vicenda delle quattro banche fallite con i risparmiatori, possessori dei bond subordinati, penalizzati da una anticipata entrata in vigore della nuova normativa "bail in" che esclude qualsiasi aiuto di Stato. Vicenda aggravata dalle interminabili discussioni, durate oltre un anno, con la Commissione europea sulla "bad bank" finite in un fallimento totale. E' nato un topolino che consente una parziale cartolarizzazione dei crediti in sofferenza con una mini garanzia dello Stato (a pagamento come avviene per una polizza di assicurazione) limitata alle emissioni senior, quelle cioè dotate di "investment grade" e acquistabili dalla Bce. In pratica, il fardello dei debiti non riscossi e incagliati (oltre 200 miliardi di euro) è rimasto sulle spalle delle banche. Lo stesso Mario Draghi, con un filo di ironia, ha ricordato ieri che queste norme sono state approvate con voto quasi unanime oltre due anni fa e pertanto ben note a tutti, a cominciare dalla Banca d'Italia e dai governi nazionali. Ha tranquillizzato i banchieri (nessuna nuova richiesta della Bce in termini di patrimonio) gelando però le aspettative di uno slittamento del "bail in" di almeno un anno. Ed ha invocato meno tasse e coraggiosi investimenti nelle infrastrutture (ponti, porti, strade, ferrovie, banda larga). Di certo, è profondamente iniquo che altri Stati europei, Germania in testa con oltre 240 miliardi, abbiano profuso aiuti di Stato a favore delle proprie banche. Ma lo hanno fatto quando era consentito. La domanda è spontanea: dove erano i nostri rappresentanti, governo, parlamento, eurodeputati, banca d'Italia, Abi, partiti al governo e all'opposizione? Tutti ciechi, sordi e muti. Non basta. Ballano sessanta miliardi tra gettito fiscale (+26 miliardi) e aumento del debito pubblico (+34 miliardi) nel 2015. Una conferma che non si è voluto (si attendono ancora i decreti attuativi sulla PA) puntare sulla riduzione del perimetro della spesa pubblica a cominciare dalle novemila aziende municipali. Ciò nonostante, il neopresidente dell'Inps è divenuto l'incubo di Palazzo Chigi poiche’ vuole risanare i conti "tosando" le pensioni. Ora è il turno di "provare" con quelle di reversibilità che riguardano oltre quattro milioni di persone. Perche’ Boeri non legge la relazione annuale del Censis? Il presidente dell'Inps potrebbe così comprendere che, proprio con il sostegno delle famiglie, l'Italia è riuscita a far fronte ad otto anni di crisi che hanno ridotto di un quarto la produzione manifatturiera e di oltre dieci punti il prodotto nazionale. Sono le famiglie che si sono fatte carico della disoccupazione giovanile superiore al 25%. Le pensioni, piaccia o no, hanno funzionato, al posto dello Stato, come un grande ammortizzatore sociale. Il governo Renzi ha ereditato tutto questo pasticcio. E sta facendo di tutto, pur tra mille lacci e laccioli, per dare all'estero una immagine di un'Italia in ripresa che vuole guardare avanti. All'estero ci credono. Sta di fatto che nel 2015, per la prima volta, gli investitori esteri hanno superato il 50% del possesso azionario alla Borsa di Milano.