Alberto Pasolini Zanelli
L’America politica era già impegnata in una delle campagne elettorali più “cattive” della storia quando è arrivato un lutto a sconvolgerla. Nel senso di incattivirla ulteriormente. Da quando Antonin Scalia, giudice della Corte Suprema, da trent’anni, è defunto improvvisamente durante una partita di caccia nel Texas, tutto il resto è passato in secondo piano, compreso il terrorismo islamico e la svolta possibile nella guerra in Siria, perfino il “vertice” telefonico tra Obama e Putin. Mai la morte di un magistrato, anche supremo, aveva portato l’America a questo stato molto vicino a una crisi costituzionale. Di solito quando lascia la poltrona (e la vita, perché la carica è perpetua) se ne parla solo per un giorno o due, con maggiore o minore reverenza e gli altri discorsi vanno avanti. Anche perché, almeno in teoria, la Corte Suprema è “al di sopra della politica”. Dunque tutto quello che accade è che il presidente nomini un sostituto e il Senato ratifichi la sua scelta. Non sempre quest’ultimo è concorde, ma sostanzialmente all’uomo della Casa Bianca, che siede lì per soli otto anni, si chiede di fare il suo dovere costituzionale e di trovare una persona qualificata per il posto.
Quando Antonin fu scelto dal presidente Ronald Reagan trent’anni fa, il Senato lo prese in considerazione per ottantacinque giorni e lo confermò all’unanimità: 98 voti a zero. Naturalmente si tenne conto anche degli orientamenti politici e in qualche altro caso c’erano stati contrasti. Ma mai l’atmosfera di caos che Scalia si è lasciato dietro e che fornisce oggi, a quanto pare, l’argomento principale della campagna elettorale per la Casa Bianca. Non sul nome del successore, ma addirittura sulla possibilità che se ne trovi uno. Obama si è impegnato a fare il suo dovere e nominare un candidato, prontamente ma non senza le necessarie riflessioni, ma i repubblicani gli hanno risposto prima che lui aprisse bocca annunciando in pratica che non solo non ratificheranno la nomina di colui o colei che egli sceglierà, ma in pratica gli proibiranno perfino di proporne uno. Questo perché, secondo l’opposizione che ha la maggioranza in Senato, la scelta “spetterà al nuovo presidente”. Che entrerà in carica nel gennaio dell’anno prossimo. Ogni tentativo di abbreviare una “vacanza” di quasi un anno verrà sventato tramite l’ostruzionismo parlamentare.
Non è una sorpresa. La strategia è quella adottata dai repubblicani fin dall’elezione di Obama sette anni fa e in più siamo nel bel mezzo di una campagna elettorale che finora non ha avuto precedenti come polarizzazione ideologica e tattica. L’America nel trentennio di Scalia è cambiata e il suo costume politico certamente non per il meglio. Per un insieme di motivi che vanno dalla mutata scena in politica estera alla “rivoluzione” tecnologica con le sue gravi conseguenze economiche, sociali e dunque anche politiche. Si può dire anzi che, da quel 1986, sia cambiato il mondo. Ma vi ha contribuito non poco anche un giudice di nome Antonin Scalia. Che ha cambiato, per cominciare, l’immagine della Corte Suprema, ben di più di quanto Reagan si aspettasse quando lo ha scelto. Ci mandò un conservatore ma si immaginava uno pressappoco come lui, cioè conciliante, suadente, capace di allargare i consensi con il linguaggio e i modi. Scalia è stato diverso fin dal primo giorno. Più che cercare di accordarsi nelle sentenze, le ha proposte e pronunciate lui da solo e difese con le unghie e con i denti, con più coerenza che tolleranza. Dalla sua bocca e dalla sua toga sono uscite proposte e risposte polemiche, acerbe. Soprattutto verso i suoi colleghi: le proposte di Sandra Day O’Connor sui temi del sesso lui le definì “irrazionali, incredibili e perverse”. Quelle di Anthony Kennedy sulla preghiera nelle scuole, “del tutto incoerenti e dilettantistiche”. Le sue proposte passarono, Scalia diventò un mito, la rockstar della Corte. Ma anche un uomo politico.
I suoi “compagni di partito”, anche per questo, risentono molto della sua perdita e ancor più temono che sulla sua poltrona si sieda un uomo o una donna di convinzioni opposte. Non si fanno illusioni sul fatto che a Scalia possa subentrare un “neutrale”, un magistrato totalmente non solo indipendente dai partiti ma indifferente alla loro esistenza e interessi. Secondo le regole e il calendario, nominare il successore di Scalia è diritto, compito e dovere di Obama, che però non è solo il presidente degli Stati Uniti ma il leader del Partito democratico e che dai repubblicani è stato ed è considerato come un esponente della sinistra del partito concorrente, anche se dalla Casa Bianca ha governato con molta cautela, sapendo con quale opposizione doveva fare i conti. I repubblicani prevedono che il suo successore alla Casa Bianca sarà uno di loro, anche se non ne sono più sicuri come qualche mese fa. Ma non per questo intendono dargli una chance finché è al potere. Anche se il prezzo può essere di tirare avanti per un anno con una Corte Suprema mutila. E del suo membro più brillante.
Pasolini.zanelli@gmail.com