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I costi finanziari del Coronavirus in America


Alberto Pasolini Zanelli

I costi finanziari del Coronavirus in America crescono adesso ancora più in fretta di quelli umani. Sono arrivati ad una somma prevista di due trilioni di dollari come “stimolo” ovvero, contandoli, contandoli su un’altra scala, a 500 milioni di dollari “liquidi” destinati subito o quasi come sollievo per i contribuenti. Liquidi, più la somma, che si prevede ancora più “generosa” anche se forse non in contanti, destinata all’esercito angosciato del business. E potrebbero crescere ancora, perché non è chiusa la battaglia fra chi ha bisogno di queste cifre, e subito, per salvare le aziende dai presidenti agli impiegati e chi dovrebbe assumere e “firmare” tutte le “medicine” in dollari. Vale a dire il presidente Donald Trump, che ha dovuto cedere di nuovo, pur difendendosi con degli allarmi e degli eufemismi. Spandendo la paura dei costi richiesti e incombenti e irrobustendo anche le promesse, illustrando ai senatori e deputati delle possibili e soprattutto date. Questo virus maledetto, insiste l’uomo della Casa Bianca, potrebbe chiudere bottega più presto di quanto prevedano i conti dei banchieri e dei medici. Si chiuderebbe almeno un capitolo spaventoso e la tragedia attuale perderebbe il suo bilancio record nella storia millenaria di queste eruzioni da ultima spiaggia.

Escono dalla memoria, uno per uno, i precedenti. Che non si limitano più, come è accaduto nelle ultime settimane, alla recentissima Ebola, geograficamente limitata al Terzo Mondo. Sondata a fondo nei secoli, il suo debutto si rinvia. C’è stata una Morte Nera nel XIV secolo con quattro milioni di morti in Europa. Nel 1630 un’altra “piaga” si abbatté quasi esclusivamente sull’Italia, o meglio sulla Lombardia e sul Veneto, più o meno come oggi e uccise 280mila fra adulti e bambini. Non si conoscono con certezza le cifre di quella che è rimasta nella memoria come la Grande Peste di Londra del 1665, senza contare i ripetuti assalti nel XVIII e nel XIX secolo sulle province marittime della Cina. In tutto il mondo, invece, dilagò una peste contemporanea alla Prima guerra mondiale, ma che tramandò il nome di uno dei Paesi rimasti neutrali e si chiamò “spagnola”. Ma indiscriminata nel colpire le età, anche in America: la vita media negli Stati Uniti prevedeva un’età fino ai 51 anni, ma condusse a un nuovo limite di 39. In una “sosta” fra le tragedie vere si inserì una vicenda letteraria, dovuta a un famoso scrittore: Albert Camus, che la collocò in un tempo “credibile e adatto”: il 1941 (ma pubblicato nel 1947), già in piena Seconda guerra mondiale, l’anno in cui la Francia metropolitana era occupata dalle armate tedesche; ma non le sue colonie, a cominciare dall’Algeria, precisamente da Orano. Camus la fece nascere non da un virus invisibile e spietato come il nostro di oggi, ma dal contagio da animali, che finì a distruggere metà dei cittadini. Non era la storia di una peste, ma della Peste.

Dopo di allora i drammi reali si moltiplicarono, soprattutto nei Paesi del Terzo Mondo, finché la peste non tornò anche nel mondo bianco e ricco e soprattutto negli Stati Uniti sotto nomi come Ebola, Aids e Sars. L’ultimo più feroce riemergere è l’attuale, che ha colto un po’ tutti, ha messo in prima linea la Cina e ha rivelato le “crepe” dell’onnipotenza americana. E le sue debolezze e contraddizioni. Quella che si è presentata è una Superpotenza che vede incrinarsi il suo ruolo di leader mondiale. Dovrà lottare per riconquistarlo. A colpi di trilioni.