Subito un piano UE da centinaia di miliardi. L’Italia c’è, mi fido del governo
Coronavirus: il Paese. Prodi: «L’Italia c’è, mi fido del governo»
Prodi: abbiamo reagito prima degli altri Paesi europei. Subito un piano Ue da centinaia di miliardi. «Il supercommissario? Non serve, c’è Conte, la responsabilità è sua. E per ripartire no a condoni»
Prodi: abbiamo reagito prima degli altri Paesi europei. Subito un piano Ue da centinaia di miliardi. «Il supercommissario? Non serve, c’è Conte, la responsabilità è sua. E per ripartire no a condoni»
Intervista di Arturo Celletti a Romano Prodi su Avvenire del 12 marzo 2020
«La vita viene prima di tutto. Anche prima delle regole che ho sempre rispettato. Ho sempre ritenuto vitale ridurre il debito pubblico e l’ho fatto con tutti e due i miei governi. Ho sempre ripetuto ‘guai a mettere in discussione i parametri di Maastrich’, ma oggi è diverso, oggi abbiamo due gigantesche priorità: proteggere la salute e impedire che l’Economia crolli così in basso che poi sarà impossibile rialzarsi». Romano Prodi scuote l’Europa. «Oggi è un momento eccezionale e servono risorse finanziarie eccezionali », ripete l’ex presidente del Consiglio che scandisce quell’ultima parola fermandosi su ognuna delle sillabe. «Eccezionali vuol dire che a livello europeo sarà probabilmente necessario un piano da centinaia di miliardi. L’Italia? Non possiamo precipitare, serve un paracadute e serve subito».
È un’intervista ‘larga’. Sull’Italia nella stagione del coronavirus. Sulle scelte e sulle misure del governo. Sui numeri del contagio. Sull’impegno dei medici e degli scienziati. Sulle paure e sulle speranze delle persone. E sulle parole che segnano queste giornate lunghe, complicate: responsabilità e sacrificio. «Ho sempre pensato che la ‘Spagnola’ sarebbe stata l’ultima pestilenza. Sbagliavo, l’impossibile può tornare. E così all’improvviso ti trovi a fare i conti con una emergenza che ti priva delle cose che ti sono più care. I contatti con le persone. Un abbraccio. Una Messa. Ho ottant’anni e, in vita mia, non c’è mai stata una domenica senza Messa. Ho ascoltato la Messa in Cina, nei paesi islamici, dovunque! La mia Chiesa è a cinquanta metri da casa e non poterci andare mi ha fatto pensare». È una grande emergenza, ma l’Italia c’è. «La storia probabilmente ci dirà che abbiamo reagito prima degli altri Paesi europei. Con la tempestività e con la decisione che oggi non ci sono ancora riconosciute. E con la convinzione generale che c’è un interesse comune da difendere e che non abbiamo tempo. Ho visto l’Italia maturare, anche se con fatica, e posso dire che l’accettazione di qualsiasi decisione del governo sarà generale perché tutti abbiamo capito che difendere chi ci sta vicino significa difendere anche noi stessi».
Se lo aspettava?
Tutti stanno capendo la gravità del momento. La consapevolezza che si lega alla paura condiziona i nostri comportamenti e le nostre scelte.
Prodi ha paura?
Di solito mantengo un certa serenità davanti agli eventi. Quindi angoscia no e paura personale no. Poi certo l’imponderabile esiste. Ma i miei comportamenti sono rigorosissimi.
Si è deciso di stringere ancora. Limitare ancora. Chiedere ancora più sacrifici.
Se è indispensabile si fa. Se chiudere i negozi e fermare i bus serve si fa. La vita umana prevale su qualsiasi obiettivo di natura economica. Anche se poi accanto all’impegno dei medici devono camminare le misure per salvare imprese e famiglie. Le decisioni del governo la convincono? Vedo decisioni di emergenza importanti e inevitabili. Ma quello che serve è un piano per la ripresa. Va fatto ora. Va fatto quando si soffre. Serve un gruppo di lavoro subito sotto la diretta responsabilità del Ministro dell’Economia e di quello dello Sviluppo economico. Serve per dare forza alla ripre- sa. Per organizzarla. Perché dopo la notte ci sarà il giorno e perché dopo il momento della ‘pestilenza’ arriverà quello della ‘benedizione’. Serve un piano dettagliato. Ora è concretamente possibile fare rientrare le imprese che sono andate all’estero, rilanciare il turismo, dare nuove opportunità alle piccole imprese.
C’è chi azzarda l’ipotesi di un grande condono per ripartire…
No, proprio no. Un condono è un rimedio generico. La politica è scegliere nel modo più preciso possibile, è aiutare quelli colpiti dagli effetti del virus, è prendere per mano quelle famiglie e quelle aziende la cui vita è stata minata da questa crisi.
Lei parlava di un piano per la ripresa, ma servono i soldi e il via libera dell’Europa.
La Commissione, dopo aver lungamente taciuto, pare finalmente esserci. Non dobbiamo però dimenticare che oggi il potere decisionale è in mano al Consiglio e quindi decidono gli Stati. Ecco, è il solito grande rischio: oggi c’è l’espressione della volontà, ma domani dovranno seguire azioni concrete. Non voglio farmi illusioni. Trovare risorse per mettere in atto i buoni propositi è sempre stato un passaggio difficile. Troppe volte ci si è rifiutati di prendere in considerazione l’emissione di eurobond come strumento per raggiungere obiettivi comuni. Ora voglio sperare che la gravità della situazione porti ad un cambiamento decisivo.
Voli cancellati, sbarchi vietati, confini chiusi, vede un’Italia sotto accusa?
Oggi prevale la necessità di isolare, di chiudere tutte le vie che permettono al virus di propagarsi. Il problema esiste e bisogna farci i conti: in Italia ci sono tanti casi accertati e c’è una paura legittima e comprensibile. Persino io sono finito sul banco degli imputati. Una settimana fa sono stato in Irlanda. Sono arrivato. Ho partecipato a una conferenza internazionale. Ho persino stretto la mano al primo ministro. Poi ho saputo che il Consiglio dei ministri si era interrogato sull’opportunità di farmi arrivare. E se questo è comprensibilissimo, l’ironia macabra sulla pizza, le cattiverie sulla disorganizzazione italiana che ho visto girare sul web e su una certa stampa straniera invece mi hanno indignato. Ma adesso che si sta prendendo consapevolezza che a fare i conti con il coronavirus non c’è solo l’Italia, ci sono anche la Germania, la Francia, la Spagna, gli Stati Uniti, il mondo. Le cose sono cambiate e temo che presto sarà ancora tutto terribilmente più chiaro anche per gli altri.
Sul calcio il governo ha dato la sensazione di oscillare, di non decidere…
Non è vero, non è così. In ritardo è l’Europa dove vedo ancora partite con i tifosi che riempiono le tribune. L’Italia ha capito: il solo vero grande obiettivo è far stare a casa le persone. Poi sarà il governo a decidere se andare avanti con le partite negli stadi vuoti o se fermare il campionato.
Crede che serva un supercommissario per fronteggiare l’emergenza?
Il supercommissario già c’è: è il presidente del Consiglio. Possono essere utilissimi subcommissari, ma solo uno deve avere la responsabilità del Paese. Io facevo così: cercavo i collaboratori migliori, i tecnici più collaudati, ma sapevo che la responsabilità era mia.
Gli ultimi dati che arrivano dalla Lombardia confermano i timori sui posti nelle terapie intensive… Sarà un dramma nel dramma se si dovesse arrivare a scegliere chi curare.
Non può essere un problema di una singola Regione. Non è il momento di dividere la Lombardia dal Lazio, il Piemonte dalla Campania. Non è un processo al sistema sanitario, ma le politiche regionali non possono fronteggiare da sole un’emergenza come questa. Serve l’Italia. Serve un’Italia che lavori in modo unitario e che unita vinca questa guerra.