Siria e Libia: le conseguenze dello strappo Russia-Turchia
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 01 marzo 2020
La tragedia della Siria assume dimensioni sempre più tragiche. Il paese è vittima di una guerra interna e di uno scontro fra le potenze che la schiacciano. Uno scontro che non finisce mai e che assume ogni giorno contorni più crudeli, accumulando minacce ancora maggiori per il futuro.
Partiamo con una riflessione sul presente. Da anni la Turchia sta aumentando il suo ruolo di potenza regionale nel Medio Oriente. Al fine di raggiungere quest’obiettivo Erdogan non esita a colpire la minoranza curda dentro e fuori dai confini della Turchia, in modo da evitare che la Siria si comporti da satellite dell’Iran. Così è avvenuto anche in questo caso intorno alla città siriana di Idlib, dove le truppe turche si scontrano in una lotta all’ultimo sangue con l’esercito siriano, aiutato ed armato dalla Russia. Questo sta provocando l’ennesima ondata di profughi che, attraverso la Turchia, cercano di arrivare in E uropa.
Sappiamo come l’arrivo incontrollato dei profughi abbia politicamente destabilizzato l’Unione Europea. In conseguenza di questo, nel 2015, la Turchia si è impegnata a trattenere nel suo territorio i fuggitivi dalla Siria ricevendo, come compenso, sei miliardi di Euro all’anno.
Mentre Erdogan dichiara di mantenersi fedele a quest’accordo, fonti turche fanno presente che il paese non può reggere di fronte a un ulteriore aumento dei profughi, che hanno ormai raggiunto il tragico e incredibile numero di quattro milioni. La politica ufficiale quindi non cambia, ma mutano i comportamenti di fatto: decine di migliaia di profughi si stanno infatti muovendo verso la Bulgaria e la Grecia con la tacita tolleranza delle autorità turche.
Ancora una volta i profughi diventano l’arma e la vittima della politica. Di tutto ciò i siriani sono consapevoli: per questo motivo stanno correndo verso le frontiere nella speranza di passare per una finestra che essi sanno essere aperta al massimo per poche ore.
In sintesi: Erdogan, da sempre abile e spregiudicato negoziatore, cerca l’appoggio dell’Europa usando i profughi come arma di ricatto. Si può pensare che lo scopo sia semplicemente quello di fare alzare all’Unione Europea il prezzo del contenimento dei profughi. Si tratta di un’ipotesi plausibile, ma credo che il vero obiettivo della Turchia sia quello di rafforzarsi in sede Nato, sommando l’appoggio europeo a quello già assicurato dagli Stati Uniti, in conseguenza del loro duro confronto con la Russia. L’Unità di azione fra Stati Uniti ed Europa appare infatti condizione necessaria per avere l’appoggio della NATO nei confronti di un’operazione militare che si svolge fuori dai confini della Turchia e quindi, almeno in teoria, oltre i limiti dell’articolo 5 del trattato che impegna i paesi membri della NATO ad una difesa collettiva solo in caso di un’aggressione dall’esterno.
Al dramma umano del presente si aggiungono quindi gli interrogativi riguardo al futuro.
Non si può infatti dimenticare che, fino a tempi assai vicini, Russia e Turchia erano unite tra di loro in un’alleanza di ferro. Un rapporto di amicizia che, in teoria, dovrebbe essere valido anche oggi. Un’alleanza che aveva spinto la Turchia, pilastro dell’Alleanza Atlantica, all’incredibile decisione di acquistare i missili russi S400, facendo con questo infuriare il presidente Trump. Nonostante si siano anche aggiunti importantissimi accordi nel settore energetico e sia ancora sul tavolo la possibilità di un prossimo incontro fra Putin ed Erdogan, credo proprio che quest’ulteriore evoluzione della tragedia siriana prepari ormai il ritorno dell’eterno conflitto fra Turchia e Russia.
Gli interessi dei due paesi nel Mediterraneo sono infatti in contrasto fra di loro e, come la storia ha dimostrato, assai difficilmente componibili. Soprattutto in una fase storica in cui le due potenze (entrambe non abituate ad avere scrupoli eccessivi nella loro politica estera) si sentono in una fase di crescita e, quindi, desiderose di espandere ulteriormente la loro influenza. Lo scontro è già in atto in Libia, dove la Turchia appoggia il governo di Tripoli e la Russia invia invece armi e uomini al generale Haftar. Tuttavia lo scontro in Siria costituisce il punto di non ritorno perché sconvolge non solo il sistema di alleanze dei due paesi, ma in quanto tocca, anche geograficamente, le aree di influenza che Russia e Turchia ritengono di loro esclusivo dominio.
Libia e Siria sono quindi due pedine di una medesima scacchiera nella quale (ed è incredibile doverlo continuamente ripetere) l’Europa gioca un ruolo del tutto marginale. Negli scorsi giorni ci siamo giustamente rallegrati per l’incontro bilaterale fra Francia e Italia, con il quale si è finalmente posto fine alle più visibili incomprensioni del recente passato.
A questa nota incoraggiante occorre però aggiungere che, pur svolgendosi a Napoli, quest’incontro non ha fatto emergere alcuna nota positiva nei confronti di una futura politica comune nel Mediterraneo. Sotto quest’aspetto non c’è niente di nuovo né riguardo alla composizione delle tensioni passate né nei confronti di una politica comune nel futuro.
Italia e Francia, come l’intera Unione Europea, non sembrano essere in grado di rendersi conto del fatto che il sud del Mediterraneo si sta irreversibilmente allontanando dalle nostre sponde. Proprio a causa della nostra disunione.