Alberto Pasolini Zanelli
Proprio una
sorpresa non è, ma ci siamo vicini: l’America prova una acuta e diffusa
tentazione di scaricare il suo attuale inquilino della Casa Bianca. Qualche dato
locale lo aveva fatto sospettare. Ma adesso è il primo dato nazionale, emesso o
raccolto dalla più autorevole delle fonti: il New York Times. Che “legge”
i risultati delle elezioni di novembre come una intenzione coerente dell’americano
medio. Come somma, tuttavia, fra i diversi tipi che esistono di elettori
americani a quasi cinque mesi dal test definitivo alle urne. I dati singoli,
come si è detto prima, incuriosiscono. Le somme delle intenzioni degli elettori
impressionano per il vantaggio del candidato dell’opposizione, ancora
ufficialmente non scelto dal suo partito: se si andasse alle urne oggi, Biden metterebbe
in cascina il 50 per cento dei suffragi, contro il 36 di Trump. Gli indecisi rappresentano
ancora il 14 per cento degli intervistati.
Di rado un
presidente uscente si avvia alla “conferma” in condizioni apparentemente più
mediocri o, anzi, disastrose. È vero che Trump ha ancora quattro mesi per recuperare,
ma le esperienze dei secoli precedenti indicano costantemente che riprendersi e
arrivare vicino alla vittoria succede abbastanza spesso. Ma capovolgere le indicazioni
e rovesciare l’esito non succede quasi mai. Gli “esperti” non hanno questa
volta molte occasioni di cambiare convinzione e già adesso hanno cominciato a
dedicarsi a un’altra opera di previsioni, basata sulle quantità e non sull’esito.
Un tipo di indagine forse più ridotta, ma più fondata sulle spiegazioni di ogni
cifra e di ogni tendenza. Perché il candidato democratico ha questa volta un
così largo vantaggio su un presidente repubblicano? I motivi avanzati dalla
lettura dei risultati e delle interviste degli elettori sono almeno tre. Il primo,
meno fragoroso, è la situazione economica, che non è negativa, ma si sta
muovendo all’indietro. La forza di Trump nelle elezioni di quattro anni fa, ma
anche nei primi due anni di mandato, è stata soprattutto l’economia. In questo
caso le cifre secondo i metodi tradizionali sono ancora positive, ma in misura nettamente
inferiore al previsto all’inizio della presidenza. Sono, invece, negativi e
crescenti gli altri due dati importanti. Il primo si può considerare in buona
misura previsto: lo stile e la sostanza della presidenza Trump comprende una durezza
e un gusto della sfida come “vendetta” per la gestione di Obama, moderatamente
riformista, femminista e “morbida” nei confronti della crescente migrazione. Il
menu di Trump è, invece, quello della intransigenza anche poliziesca contro coloro
che vorrebbero entrare e diventare americani. Severità di tinta razzista. Su questo
gli americani sono equamente divisi fra sentimenti opposti.
A questo punto
della campagna elettorale le tendenze sarebbero pressappoco equivalenti. Ma sull’America
(e sul resto del mondo) si è abbattuta quest’anno la catastrofe del Coronavirus,
che provoca dei danni mai paragonabili da diversi secoli. Nessun governo o presidente
avrebbe avuto la possibilità o la capacità di fermare questa tempestosa
inondazione. Trump ha fatto di peggio, soprattutto sul piano psicologico,
perché a una situazione difficile e severa ha reagito in modo aspro e mutevole
al punto di essere sentita dai più come incoerente.
Egli ha ora solo
quattro mesi per cercare di rimediare, sia nei fatti e nei dati, sia nei
giudizi dei suoi concittadini. Egli pare avere scelto questa seconda strada, la
più ardua e pericolosa. Soprattutto in alcune sezioni dell’elettorato, che sono
quella giovanile e soprattutto quella femminile. Molto difficilmente Biden
oserà, soprattutto se il suo vantaggio permane, prendere il rischio di
scegliersi come candidato alla vicepresidenza una donna, o meglio un certo tipo
di donna. La senatrice Elizabeth Warren è esperta specializzata in economia, ma
prevedibilmente troppo a “sinistra”, mentre la deputata Kamala Harris ha idee
simili, sommate a un’eccessiva “vivacità” e una “composizione razziale”, forse troppo
complessa per il normale cittadino americano. Questi due sono tuttavia i soli
gradini percorribili in una operazione di recupero che pare più che mai
difficile, come indicano i primi sondaggi. Che sono modificabili, ma richiedono
calma e pazienza. Due caratteristiche che nessuno attribuisce a Donald Trump.