Dobbiamo preparare il nostro futuro senza aspettare l’aiuto europeo
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 21 giugno 2020
Vi sono alcuni avvenimenti che diventano significativi perché non vi succede nulla. Questa è la mia conclusione sul Consiglio Europeo di venerdì scorso.
Una conclusione che può sembrare paradossale perché molti sono rimasti delusi dal fatto che i massimi rappresentanti dei paesi europei si sono sostanzialmente limitati a prendere atto delle proposte della Commissione e a rinviare tutto alla prossima riunione, che si terrà probabilmente intorno alla metà di luglio (con la speranza che i capi di governo europei possano finalmente parlarsi di persona e non limitarsi a dialogare a distanza.)
È vero che gli oppositori alle inattese proposte della Commissione e del tandem Merkel-Macron hanno riconfermato le loro posizioni e che perciò non vi è stato alcun accordo sulla nuova politica di solidarietà contenuta nelle proposte della “Next Generation” e dell’aumento del bilancio dell’Unione 2021-2027.
È tuttavia evidente che l’opposizione dei paesi che si definiscono frugali non è più un’opposizione di principio (quasi teologica) ma è ormai scesa nel campo contrattuale, in difesa dei relativi vantaggi fra pagamenti e incassi (i così detti rebates) che questi paesi tuttora conservano nel bilancio europeo. Questo passaggio ad una fase contrattuale ha ammorbidito anche l’opposizione della Polonia, che finora aveva soprattutto sottolineato la propria diversità e i suoi legami con gli altri paesi del patto di Visegrad ma che, arrivati al sodo, ha dimostrato di non avere alcuna intenzione di perdere gli enormi vantaggi economici derivati dalla sua appartenenza all’Unione.
Nel consiglio europeo si è quindi semplicemente dato il semaforo verde a un negoziato che deciderà sul modo di impiego dei 750 miliardi di Euro previsti dal Next Generation per fronteggiare le conseguenze del Coronavirus. Si dovrà, in concreto, stabilire quanti saranno versati nella forma di prestiti e quanti a fondo perduto. Una decisione non da poco ma che non può che trovare un compromesso finale in una conclusione molto vicina alla proposta della Cancelliera tedesca. Non possiamo infatti trascurare il fatto che la Merkel, che ha riconfermato il suo accordo con Macron, inaugurerà il semestre della presidenza tedesca proprio in occasione del prossimo Consiglio europeo. Un’ulteriore ragione per cui non potrà molto discostarsi dalle sue precedenti proposte e dalla riconferma dell’accordo con la Francia.
Naturalmente, come è ben noto, i compromessi europei hanno bisogno di un’approvazione unanime: i quattro paesi frugali saranno quindi riassicurati sul fatto che non perderanno i “rebates” dei quali godono ora nelle allocazioni del bilancio europeo.
Detto questo non possiamo negare il senso di frustrazione che deriva dalla lentezza delle procedure europee: questa è tuttavia una conseguenza inevitabile della complessa fase in cui si trova l’Unione dopo che, nel 2005, è stato respinto il progetto di Costituzione Europea. A questa lentezza, così dannosa per l’Europa in un periodo storico nel quale occorrono rapide decisioni, non si potrà purtroppo porre rimedio in un prevedibile periodo di tempo.
La riflessione più importante sul Consiglio europeo deve tuttavia concentrarsi sul perché la Cancelliera abbia imposto al suo paese un radicale cambiamento di politica rispetto a quanto avvenuto nella precedente crisi, nella quale l’austerità tedesca ha pesato gravemente sul futuro dell’intera Europa.
Alcuni osservatori attribuiscono la ragione di questo cambiamento al ruolo del partito socialista nella coalizione del governo tedesco ma è una ragione solo marginale perché la vera sfida è stata all’interno del suo stesso partito ed è stata vinta dalla Cancelliera perché essa ha finalmente preso atto della gravità della presente crisi e, nello stesso tempo, che il futuro della Germania è indissolubilmente legato al futuro dell’Unione. Non solo la destinazione dell’export tedesco ma il legame delle aziende germaniche con i paesi vicini ha reso evidente che non vi è alcuna prospettiva per una Germania che voglia affrontare da sola la concorrenza internazionale.
Questa crisi, a differenza di quella del 2008, ha assunto una profondità tale da mettere a rischio l’esistenza stessa dell’Unione Europea: un rischio che nemmeno la Germania può permettersi soprattutto in un momento nel quale la tensione fra Cina e Stati Uniti sta mettendo in difficoltà la globalizzazione dei mercati. Oggi l’Europa si presenta come una nuova grande patria in un momento in cui l’operare in un grande mercato domestico è diventato condizione necessaria per la sopravvivenza.
Con le proposte che ha messo sul tavolo la Cancelliera ha certamente imposto un temporaneo sacrificio al proprio paese ma ha preso atto che troppo grandi sono gli interessi di lungo periodo della Germania. Nell’armonizzare il futuro del suo paese con il futuro dell’Europa essa ha segnato la differenza che esiste fra un politico col fiato corto e uno statista.
Mentre sono convinto che le decisioni del Consiglio europeo del prossimo luglio andranno nella direzione giusta non dobbiamo però dimenticare che i benefici del “Next Generation” arriveranno solo nel prossimo anno e su progetti nazionali definiti entro la fine di ottobre. Per questo motivo noi italiani da un lato abbiamo una ragione in più per utilizzare tutte le risorse già pronte che vengono dall’Unione (a cominciare dal MES) ma, dall’altro, dobbiamo finalmente cominciare a preparare il nostro futuro.