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Guerra contro il Califfo o contro lo Czar?



Alberto Pasolini Zanelli
Da un paio di giorni l’Ucraina è, o almeno pare, uscita dai mass media americani che aveva per mesi invaso e conteso alle ancor più angosciose cronache del Medio Oriente. L’altro giorno il primo titolo sull’argomento sul New York Times era a pagina 16, quello del Washington Post a pagina 14. I telegiornali si comportano in modo non dissimile. Viene da chiedersi se una guerra data per imminente l’abbia rubata, o almeno sequestrata, qualcuno e ci si domanda anche il perché. Soprattutto di fronte ad annunci come questo: Stati Uniti e Russia si incontreranno a Mosca giovedì per discutere gli sviluppi di un trattato sul controllo degli armamenti firmato da Ronald Reagan e da Mikhail Gorbaciov non ieri l’altro bensì nel 1987. Che cosa si diranno non è accertato. È comunque significativo che l’annuncio sia venuto meno di una settimana dopo quello di una tregua tra Russia e Ucraina.
Il Trattato riguarda principalmente le armi nucleari, ma contempla anche l’eliminazione dei missili balistici convenzionali e dei Cruise con una gittata fra i cinquecento e i cinquemilacinquecento chilometri e, sostiene Mosca, dei droni armati, divenuti nel frattempo l’“arma preferita” di Obama che ne fa uso in Medio Oriente, in una crisi diversa ma contemporanea a quella ucraina, contestualmente alle sanzioni economiche e finanziarie che costituiscono finora il vero conflitto fra le Superpotenze della Guerra Fredda. Ultimo esempio, le navi da guerra costruite in Francia per la Russia e che per ora non le verranno consegnate.
Sul terreno diplomatico, insomma, stenta a realizzarsi quel “cessate il fuoco” che invece sul terreno, almeno inizialmente, regge, pur in un quadro di scetticismo reciproco. Sia Putin sia il presidente ucraino Poroshenko hanno confermato che è in corso lo scambio di prigionieri anche se è più tormentato il cammino per arrivare a una “intesa politica”. Si parla di “sanzioni reversibili”. Si dice che la “linea dura” voluta dai “falchi” di Washington e adottata in parte e senza entusiasmo da Barack Obama, abbia incontrato resistenze in alcuni Paesi dell’Europa Centrale, fra cui l’Ungheria, la Slovacchia e la Repubblica Ceca. Dall’altra parte si delinea una inattesa “dissidenza”. Dmitri Medvedev, ex capo dello Stato oggi primo ministro e considerato la “colomba” in contrapposizione al “falco” Putin, pare più diffidente del suo successore. Egli ha espresso forte scetticismo, sulle clausole degli accordi ma ha minacciato un tipo di sanzioni in risposta a quelle dell’Occidente: “I cieli della Russia sono aperti ai voli, ma se avremo altre restrizioni, dovremo rispondere chiudendoli. Sarebbe il più duro fra i colpi con cui Mosca può rispondere al conflitto commerciale. Il territorio russo è enorme, molto frequentato soprattutto dalle linee aeree di piccoli Paesi ma anche, per cominciare, dalla Cina. Tanto è vero che Pechino e Mosca hanno in programma di concludere entro quest’anno un accordo per la produzione congiunta di aerei commerciali “giganti”. Quasi polemico nei confronti di un Putin tacciato di “arrendevolezza” (deve essere la prima volta in vita sua), Medvedev afferma che “la Russia è stata fin troppo paziente. Potevamo e forse dovevamo rispondere subito a quei gesti ostili. È stato il presidente a decidere di astenersene. Ma ora qualcosa dobbiamo fare e certamente andremo incontro ai desideri della grande maggioranza dei cittadini del nostro Paese”. C’è chi prende sul serio questa prospettiva, a cominciare dall’Ucraina, dove si levano critiche “parallele” all’altro firmatario dell’accordo di Minsk, il presidente Poroshenko, che viene definito dai rivali politici, soprattutto nell’ambito del suo stesso partito, di “piegarsi troppo al volere di Mosca”. Il dialogo, certamente non concluso, sembra vedere i leaders su una linea più “ragionevole”. Staremo a vedere, adesso, se una analoga “conversione” sia in corso, o in programma, anche negli Stati Uniti. Dove qualcuno sembra rendersi conto che i due conflitti che incombono in questi mesi e settimane sul mondo sono sì paralleli ma di natura e di gravità diverse. E che la priorità va data, o restituita, al pericolo numero uno, che è il Califfo accampato in Siria e in Irak e non lo zar indispettito al Cremlino.