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La Russia e l’Ucraina sono già in “armistizio”



Alberto Pasolini Zanelli
Forse è stata proprio una coincidenza, ma forse no. La conclusione del “vertice Nato” di Cardiff (Galles) è stata siglata da un annuncio importante. Ma da Minsk (Bielorussia). Un paio di dozzine di Paesi “atlantici” avevano discusso, almeno ufficialmente, una crisi europea, quella che si svolge da settimane in Ucraina, anche se i loro pensieri e le loro giustificatissime ansie non hanno mai smesso di riguardare le angosciose “imprese” dei tagliagole che si richiamano a un Califfo islamico. A Minsk erano solo in tre e uno faceva l’“arbitro”. Gli altri due, il presidente russo Putin e quello ucraino Poroshenko. Dal Galles sono venuti segnali di allarme, incoraggiamento e riarmo; da Minsk l’annuncio di un armistizio e di “distensione” verbale. Entrambi i vertici erano stati convocati con una certa urgenza, ma il secondo è durato un giorno di meno: la lista dei problemi da affrontare era molto più corta e il comunicato finale molto più esplicito: non prometteva una tregua ma la annunciava come uno sviluppo acquisito. La Russia e l’Ucraina sono già in “armistizio” anche se è troppo presto per essere certi che duri e anzi lo scetticismo è d’obbligo e ha trovato espressione in poche parole alla conclusione dell’intervento di Obama a Cardiff.
Incoraggianti sono state però, almeno nelle prime ore, le notizie dal “fronte”. Comincia a realizzarsi un piano per la “risoluzione del conflitto” redatto da Putin e articolato in sette punti. Il rombo del cannone si sentiva ancora, a tratti, alla periferia di Donetsk, “capitale” dei territori in mano ai ribelli filorussi, ma a Mariupol “convivevano” già unità dei contrapposti eserciti. E Putin appariva convinto e a tratti perfino euforico: al punto di ripescare per il suo “contraente” una formula varata da Margaret Thatcher (“Gorbaciov è qualcuno con cui si può fare un affare”). E proprio Gorbaciov è riemerso dal suo silenzio di principale “dissidente” della politica putiniana nella forma di un giudizio storico: il “vortice” fra Russia e Ucraina e, in generale, fra le Repubbliche sovietiche è il risultato di un errore di cui le autorità ucraine del tempo sono corresponsabili. Adesso, invece, si riapre la stagione della riconciliazione, nella forma della creazione di una “unione economica” nei Paesi eredi dell’Urss, che potrà sorgere se e quando l’Ucraina rinuncerà al progetto e alle tentazioni di entrare a far parte della Nato. Una ipotesi che è all’origine del presente conflitto cinque mesi fa: allorché il governo di Kiev scelse la Russia sulla “aggregazione all’Europa” e per questo fu abbattuto da una rivolta di piazza che sfociò, non senza violenze, in un capovolgimento della maggioranza uscita dalle elezioni. Di qui la secessione della Crimea e il tentativo in corso da parte del Cremlino di strappare all’Ucraina le province orientali. Dal piccolo vertice di Minsk è uscita invece l’ipotesi di un nuovo capovolgimento di ruoli: che sarebbe una vittoria di Putin e ristabilirebbe una sovranità ucraina nella maggior parte delle province, completata da una riedizione migliorata della collaborazione fra i due Paesi.
Nella migliore delle ipotesi, dunque, ce ne sarebbe per tutti, tranne che per l’Occidente, che si è mosso tardi e si vedrebbe ora, per così dire, “scaricato” proprio nel momento in cui sta muovendo il suo apparato militare. Non sappiamo e presumibilmente non sapremo, almeno per ora, che cosa abbia indotto Poroshenko a tale svolta, che non sarebbe la prima nella recente politica ucraina ed equivarrebbe a un “no” di fronte all’altare delle riesumate nozze fra Kiev e l’Occidente. I giochi, in realtà, sono tuttora aperti. Ma più che i fatti, suscitano interesse le dichiarazioni di intenti e le possibili conseguenze sugli equilibri mondiali. Se gli Usa e l’Europa sottoscriveranno questa svolta, si potranno rallentare se non capovolgere le tendenze degli ultimi mesi che sembravano portare a una inversione di tendenza nella riesumazione della Guerra Fredda edizione ventunesimo secolo. Obama riacquisterebbe spazio e tempo, per concentrarsi sulla sanguinaria “crociata islamica” in corso in almeno tre continenti (sottraendosi così alla martellante offensiva dei “falchi” di Washington e dintorni che tendono a ristabilire nella coscienza degli americani una connessione se non proprio una complicità fra il revanscismo dell’orgoglio russo e il furore dei Califfi contro tutto ciò che è o si chiama Occidente. Uno sviluppo che i portavoce di Putin negano e richiamano alla memoria che pochi mesi fa i terroristi islamici scelsero proprio il territorio russo (e precisamente la città che si chiamava Stalingrado) per colpire nel nome di un altro Califfo, insediato in un pezzo di terra russa, proponendo così una forma e una struttura diverse, una Guerra Fredda in cui Washington e Mosca si ritroverebbero dalla stessa parte.