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Cercare conforto in Lady Gaga



Alberto Pasolini Zanelli
Hillary Clinton, per un momento, ha cercato conforto in Lady Gaga. Concentrando su di lei le speranze di un intervallo di tregua in una Convenzione nazionale democratica che doveva consegnare un sigillo trionfale alla sua corsa per la Casa Bianca e che invece è degenerata in un’arena di scontri, spaccature, scambio di accuse, accenni di una crisi internazionale in stile da Guerra Fredda e, quel che è peggio, un sondaggio a sorpresa della Cnn che rivela come Lady Clinton non è più comodamente in testa ma è stata raggiunta e superata da Donald Trump. In conseguenza della pubblicazione di quello che doveva essere un segreto “interno” del Partito democratico, cioè lo scambio di messaggi, informazioni e raccomandazioni fra i diversi uffici che compongono la struttura del Partito democratico durante la lunga stagione delle “primarie”: una contesa fra esponenti del partito in gara per la nomination a candidato alla Casa Bianca. Qualche ingenuo potrebbe pensare che tali uffici siano tenuti, in questa fase, alla più stretta neutralità. I documenti mostrano che è accaduto il contrario: che tutto l’apparato si è dato da fare per aiutare Hillary Clinton, figlia prediletta dell’establishment, nell’unico modo possibile e richiesto, sforzandosi cioè di ostacolare, demoralizzare, distruggere il solo rivale in gara, Bernie Sanders. Tutte le voci che avrebbero potuto danneggiarlo venivano immediatamente fatte circolare in tutte le aree del Paese, dalla Florida all’Alaska. Gli elenchi di coloro che desideravano partecipare alle votazioni venivano sottoposti a strettissimi controlli al fine di eliminare quelli meno “sicuri”. Una “bomba” che non era possibile disinnescare. E infatti subito di è arrivati alle scuse a alle dimissioni del segretario nazionale del Partito.
È bene intendersi su un punto: scorrettezze di questo tipo, in misura variabile, sono state commesse negli stessi mesi anche all’interno del Partito repubblicano, da parte di un establishment egualmente teso a bloccare o distruggere una candidatura scomoda, quella di Donald Trump. Solo che non ci sono riusciti. E adesso la “casa dei repubblicani” è semidistrutta e “occupata” da un Conquistatore estraneo e ripudiato.
I democratici, invece, ce l’hanno fatta, anche perché loro avevano un candidato “ufficiale” e i repubblicani no. L’“insorto” Bernie Sanders è riuscito tuttavia, fra uno sgambetto e un altro, a raccogliere 14 milioni di voti, tanti per chi si presenta in America con l’emblema di “socialista”. E che è un uomo leale, pronto a riconoscere la sconfitta e ad invitare i suoi sostenitori a riversare i propri voti su Hilary Clinton, soprattutto per discipline di partito ma soprattutto per fermare il pericolo Trump. Un appello che doveva inaugurare le convention, ma che invece ha avuto l’effetto opposto al desiderato: i sostenitori di “Berni” lo hanno applaudito quanto si è presentato, ma lo hanno sonoramente fischiato quando li ha invitati a votare Clinton. Su questa delusione e tensione sono poi piovute le rivelazioni sulle gravi scorrettezze dell’apparato. Eventi che in poche ore si sono impegnati a capovolgere la tendenza dei sondaggi. Da parecchie settimane in declino, Trump era parso uscire danneggiato dal suo discorso conclusivo dell’assemblea repubblicana a Cleveland e praticamente fuori gara. E invece sono arrivati i dati della Cnn, che lo vedono in ripresa, bene in corsa e anzi con 5 punti di vantaggio nel computo del “voto popolare”, con lui più generoso nel conto che conta, quello dei voti elettorali nei singoli Stati, dove reggono ancora le roccheforti del “clintonismo”.
Uno choc che non si può negare ma che nemmeno si può cancellare con delle smentite: i messaggi incriminati sono a disposizione di tutti. E allora le gerarchie democratiche hanno risposto nell’unico modo momentaneamente a disposizione: ammettendo ma dando la colpa alla Russia. “Spie” di Putin avrebbero registrato tutta la corrispondenza di partito allo scopo di renderla pubblica in coincidenza con l’assemblea di Filadelfia. Lo scopo? Evidente, sabotare la campagna della Clinton per aiutare Trump, notoriamente “amico” di Putin. Definizione, quest’ultima, non interamente contestabile a seguito di alcune frasi del candidato repubblicano che auspica un incontro e una diminuzione delle tensioni fra i vecchi nemici della Guerra Fredda. Quello che però è difficile dimostrare, è che la gratitudine del Cremlino si sia spinta fino a frugare fra le carte elettroniche di una campagna elettorale americana. Dimostrarlo è ancora più difficile che smentirlo. E comunque le rivelazioni confermano sospetti già in circolazione su un uso non del tutto corretto delle vie elettroniche da parte di Hillary Clilnton anche quando era Segretario di Stato. La Convenzione andrà avanti, ma sotto una nube nera. Molto dipenderà dalle reazioni delle migliaia di delegati eletti sotto il nome di Bernie Sanders. Una minoranza, ma ragguardevole e di sentimenti così intensi da rendere adesso possibile una ribellione alle urne all’invito del leader. Che può manifestarsi ni due modi: o attraverso una massiccia astensione oppure, almeno in parte, con un voto di protesta proprio a Trump. In entrambi i casi il Partito repubblicano così gravemente malato dall’assalto del “trumpismo” potrebbe salvare la Casa Bianca proprio con Trump. La campagna elettorale è ancora lunga, da oggi a novembre molto cose potranno accadere. Intanto i democratici cercheranno di salvare la Convention con una serie di interventi importanti. L’ultimo appello di Hillary, coraggioso ritorno al podio di Sanders, la benedizione ufficiale di Barack Obama. E poi Lady Gaga.