Alberto Pasolini Zanelli
Per Theresa May è
stata nel nuovo job. La vigilia era stata dedicata invece alle “presentazioni”: il
colloquio con Cameron per il cambio dei poteri, l’ossequio rituale alla Regina,
la conoscenza con il gatto di Downing Street, per qualche ora l’unico inquilino
immutato nella sede del potere britannico: una sorta di “gatto di bordo” nei
tempi delle navi a vela che non seguiva il capitano in partenza perché il mare
era il suo lavoro. Passata all’opera, Theresa si è subito presentata con un
tocco di diplomazia: si era battuta a fianco di Cameron contro il Brexit, il
divorzio dall’Europa, ma subito ha cambiato bandiera: ora lo accetta e anzi
promette “lo faremo diventare un successo”. E ha aggiunto i fatti alle parole: per
ministro degli Esteri si è scelta quel Boris Johnson, l’ex sindaco di Londra che
più vivacemente di chiunque altro nel bacino conservatore si era battuto per
quel divorzio. Presentazione a sorpresa? Non proprio. Dalla May ci si aspettava
qualcosa del genere nel compromesso. Non solo ma anche perché lei è una donna.
Un genere di moda
nel mondo politico, quasi ovunque tranne nei Paesi usciti da poco dal
comunismo. L’America si appresta ad eleggere Hillary Clinton, che sarebbe il
primo inquilino femmina della Casa Bianca. In Germania c’è da fin da troppo
tempo Angela Merkel. A Roma ogni scelta di leader politico assomiglia da
qualche tempo a un concorso di Miss Italia. Senza calcolare il Sud America:
Argentina, Brasile, Cile, Bolivia hanno in comune, o hanno avuto fino a pochi
mesi fa, un sesso in comune, incrinato adesso da crisi economiche e complotti
vari.
Ma la patria del
potere al femminile è stata finora la Gran
Bretagna, per merito (qualcuno dice per colpa) di una
persona: Margaret Thatcher. Cui però ben poche assomigliano nel corso di questa
ondata di moda. I paragoni sono numerosi
ma ben pochi convincenti. Anche nel caso di Theresa May, che ha
recuperato al gentil sesso la sede e il potere di Maggie. Si è tentato subito
il paragone, non solo perché lei era “la Signora di Ferro”, ma soprattutto perché fin dal
primo giorno la sua patria e il mondo sono parsi dimenticare il suo “genere”.
Della prima donna più potente del mondo ci si era dimenticati subito che era
una donna. La polemica femminista e antifemminista non la sfiorava. Ci si
chiedeva di lei quali programmi avesse per l’economia, per il riarmo, per tutte
le scelte “dure” che si imponevano in quello scorcio di ventesimo secolo. Era
l’ondata dei conservatori, lei in avanguardia, eletta un anno prima di Ronald
Reagan. Quando scoppiò la storia delle Malvine (lei naturalmente le chiamò
sempre Falkland) ci si chiese quali e quante navi da guerra avrebbe spedito in
loco. Alle riunioni europee (non era ancora deflagrato l’euro), quando si
discuteva di bilanci, di dare e avere, la Thatcher si spiegava così: “Rivoglio indietro i
miei soldi”. E in genere li riceveva, magari non accompagnati da sorrisi
gentili o galanti. Al potere ci era arrivata con la stessa aggressiva
chiarezza. Non pretese mai di rappresentare le donne britanniche e tanto meno
il gentil sesso nel mondo: pretendeva che si facessero gli interessi della Gran
Bretagna. Se c’è un’espressione che nessuno avrebbe sognato di applicarle era
“politica al femminile”, che è oggi parte del gergo quotidiano.
Si comportò,
semmai, “da uomo”. O almeno così dicevano i più moderati fra i suoi critici. Gli
altri la dipingevano, la collocavano nelle vetrine e nelle caricature, con una
frusta in mano, oppure al volante di un carro armato. I sostenitori erano più
cauti nelle immagini ma condividevano la valutazione. Ecco perché, adesso che
l’ondata del potere femminile inonda l’Europa, ben pochi la citano come esempio
o si riferiscono a lei, “di Thatcher – si dice semmai – ce ne può essere stata
una sola”. Sotto sotto è d’accordo anche Theresa May, che pure eredita non solo
il seggio di premier, ma anche la leadership del Partito conservatore. E che
qualcuno effettivamente ha ribattezzato “Ragazza di Ferro”, per sottolineare
che lei non ha figli e la
Thatcher sì. La dicono però “asciutta e ambiziosa”. Qualcosa,
semmai, come la Merkel. Theresa
e Angela hanno in comune, del resto, qualcosa: sono entrambe figlie di un
parroco, anglicano o luterano che sia. Margaret Thatcher era molto più “laica”,
dalle origini ed esperienze commerciali. Tutte e due sposate, a quanto pare
felicemente, a uomini di sorte più oscura. Anche per questo Maggie non è un
modello: non ha mai lanciato cause femministe. Pareva pensare che la cosa
importante era tirare su l’Inghilterra, poi ne avrebbero usufruito i “lui” e le
“lei”. Accettava le usanze senza curarsene. Ho conservato il biglietto di
invito a un cocktail di festeggiamento per una sua vittoria elettorale. È
firmato Dennis Thatcher. Non solo il cognome del marito, ma anche il nome. Come
usava una volta, né lei si preoccupò mai di cambiare.