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Destabilizzazione. A pensare male si fa peccato ma ci si azzecca sempre.

L'articolo del Post che parla di informazioni riservate  date da Donald Trump al ministro degli esteri russo la settimana scorsa nel corso di un incontro alla Casa Bianca ha scatenato com'era previsto una ridda di affermazioni, contestazioni, smentite, accuse reciproche, instabilità nelle relazioni diplomatiche degli Stati Uniti con il resto del mondo, ma in particolare, con gli alleati tradizionali a cominciare da quelli europei.

La tesi della Washington Post è che questa soffiata sia stata fatta da funzionari attuali e precedenti della Casa Bianca.

Affermazione questa abbastanza singolare per diverse ragioni: sembra abbastanza improbabile che qualcuno della cerchia magica del presidente abbia fatto un leaking al quotidiano della capitale mettendo a rischio se stesso e i pochi altri di riferimento perché queste cose si vengono a sapere in un ristretto giro di ore.

Quanto poi al dire che questa soffiata sia stata fatta anche con il concorso di funzionari precedenti della Casa Bianca lascia perplessi perché, in tutta sincerità, quando una nuova amministrazione subentra alla precedente, vengono tagliati di netto tutti i contatti e le relazioni allo staff dell'inquilino della Casa Bianca che lascia al termine del mandato.

Cerchiamo di raccogliere le idee:

è materialmente accertato che gli hackers russi manovrati dal Cremlino  si sono inseriti nella campagna presidenziale americana con lo scopo di destabilizzare e di porre in grossa difficoltà la candidata Hillary Clinton, favorendo nel contempo l'affermazione di quello sconosciuto noto soltanto per i casinò e gli alberghi creati in varie parti del mondo.

L'azione  di destabilizzazione è andata a buon fine innescando all'interno della società americana e del mondo politico variegato contrasti a non finire.

Nei primi tre mesi della nuova amministrazione Trump si sono avuti fatti irrilevanti come il "licenziamento" del generale Flyn nominato assurdamente responsabile della sicurezza nazionale.

La permanenza di tre settimane di questo personaggio nell'importantissimo incarico di vertice è stata la conseguenza degli imbarazzanti contatti e consulenze retribuite e non autorizzate dal Pentagono avute da questo  militare con esponenti del governo Putin e con ambienti politici della Turchia.

Solo per ricordare gli avvenimenti più importanti: la cacciata del direttore dello FBI, motivata, sembra ormai sicuro, dal rifiuto del signor James Comey di mettere una pietra tombale sulla indagine in corso che riguarda i rapporti tenuti dai collaboratori di Donald Trump, compreso il genero, con i massimi livelli della nomenklatura del Cremlino e sistematicamente con l'ambasciatore russo a Washington.

Questa vicenda ha creato tonnellate di tossine negative che hanno e stanno ammorbando la politica americana. Anche in questo caso con evidenti conseguenze destabilizzatrici.

Ed infine arriviamo a quest'ultimo episodio attribuito alla lingua di funzionari attuali e passati della Casa Bianca. Donald Trump  che racconta  al ministro degli esteri russo particolari di assoluta riservatezza, mettendo a rischio la catena informativa (con evidente pericolo per gli agenti del controterrorismo che operano nei teatri di guerra e in aree di particolare pericolosità).

Una situazione che si potrà attribuire alla faciloneria di questo personaggio animato da un ego incontenibile, senza alcuna consistenza intellettuale e quel che è più grave  persuaso di poter gestire il delicato impegno presidenziale con lo stesso spirito e gli stessi mezzi con i quali gestiva  i casinò che, come tutti sanno, sono il regno di persone con il doppio pelo sullo stomaco.

Sorge allora la domanda: e se fossero stati gli uomini di Putin a fiondare l'indiscrezione  relativa all'affermazione incauta di Donald Trump fatta durante l'incontro con il ministro degli esteri russo?

Troppi dimenticano che Putin è stato per lungo tempo il direttore generale del KGB, la centrale dei servizi segreti russi che corrisponde alla C.I.A. e allo FBI.

Un gioco da ragazzi per gli specialisti russi e il risultato certo di una pesante destabilizzazione sia all'interno degli Stati Uniti che all'esterno. Infatti serpeggia ormai chiaramente tra gli alleati tradizionali degli Stati Uniti la domanda se questa amministrazione Donald Trump meriti di condividere i flussi di intelligence.

Fantapolitica? Forse.

Ma a pensar male si azzecca sempre anche se si fa peccato.

Come diceva la buonanima.
Oscar
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Oscar  vale quanto diceva Andreotti…
Fabrizio Tomada
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